In termini prospettici sull’azionario restano i dubbi che i recenti recuperi siano sufficienti ad indicare un netto ed immediato cambio di rotta, sebbene la stabilizzazione vista valorizzi i livelli minimi raggiunti nel primo semestre come soglie di tenuta davvero significative
La cronistoria degli eventi che hanno influenzato i mercati nei primi mesi di quest’anno è certamente variegata e complessa ma in generale ritroviamo un elemento comune nella dinamica negativa che si è riflessa sul sentiment degli investitori. Dapprima dunque un tasso di inflazione in crescita, un conflitto inatteso e tensioni sulle materie prime ed in seguito un secondo trimestre di fatto caratterizzato dal brusco inasprimento dei toni da parte delle banche centrali, ci ha condotti all’inizio dell’estate con risultati molto negativi e preoccupanti per il futuro. L’inizio del nuovo semestre rompe gli schemi di valutazione registrati finora e, per certi versi, offre una visione speculare dei risultati, almeno temporaneamente. A livello pratico infatti risalgono proprio tutti quei temi che maggiormente avevano sofferto.
Si parte dalle obbligazioni che, dopo una delle peggiori discese nella loro storia, capitalizzano i livelli di tasso più alti raggiunti e approfittano degli eccessi presenti sul mercato, complici le attese di rallentamento economico, evidenziando significativi recuperi. La marcata inversione della curva del Treasury americano è l’esempio più lampante, con risultati finali premianti per il T-note oltre il +3%. Significative anche le salite in area Euro con la Germania top performer (Bund +5%). Molto bene anche tutte le componenti a spread con risultati oltre +4%.
Anche le azioni, in particolare quelle americane (+9% S&P500 e +12% Nasdaq), sembrano aver puntualmente misurato un’esagerazione della pressione ribassista e, complice le rassicurazioni sulle mosse della Fed nel combattere l’inflazione, invertono la rotta attirando nuovi acquisti soprattutto sui temi precedentemente più penalizzati come la Tecnologia (+13%) ed i Consumi ciclici (+15%), i migliori insieme agli industriali (+9%).
Positiva anche l’Europa, in particolare il mercato francese (8.9%) mentre non brillano particolarmente gli emergenti con forti divergenze tra singoli paesi. Brasile , Korea ed India si confermano molto positivi mentre la Cina(-7%) con la gemella HongKong (-7.8%) continuano a essere correlate negativamente rispetto alla dinamica dei mercati sviluppati.
Dal lato opposto troviamo le materie prime che, dopo il balzo di inizio anno e le dinamiche volatili successive, sono tornate negli ultimi due mesi su livelli decisamente più contenuti sebbene ancora sostenuti e coerenti con uno scenario di tensioni di carattere energetico e geopolitico. La preoccupazione per i rischi di recessione alle porte, oltre al fallito tentativo di stabilire nuovi livelli massimi storici ha certamente pesato e convinto gli speculatori a prendere un po’ di beneficio. Il petrolio, in particolare cede il -6%, mentre il Gas Naturale riprende la dinamica molto rialzista. Resta inerme l’Oro sostituito nel suo ruolo difensivo in questa fase dal Dollaro statunitense. Il peggioramento della propensione al rischio degli operatori e lo spostamento dei differenziali dei tassi di interesse a favore degli Usa sono i principali fattori ad aver reso il dollaro più forte, molto più forte.
Il grande dibattito resta incentrato su inflazione e rallentamento del ciclo economico che sembrano andare di pari passo. La probabilità infatti di una recessione è presente e difficilmente verrà trascurata nei mesi entranti ma resta molto collegata alla pressione vigente sui prezzi, nel senso che aumenta al crescere dell’inflazione, mentre si ritiene difficile che il rallentamento economico venga causato da una eccessiva stretta nei consumi o da problemi sistemici legati ai settori, in particolare finanziario ed industriale, i cui bilanci sembrano oggi in grado di assorbire condizioni meno favorevoli. È comunque estremamente riduttiva la visione secondo cui l’unico modo in cui l’inflazione possa scendere sia a causa di un rialzo dei tassi, con il conseguente scenario recessivo. C’è in realtà in gioco una Domanda che potrebbe rivelarsi in riduzione e soprattutto un’Offerta che può tendenzialmente rientrare verso canoni più normali, senza limiti da strozzature, con effetti finali a tutto vantaggio di una maggiore tenuta della crescita.
Lo scenario di un rallentamento, piuttosto che di una vera recessione, resta favorito ad oggi anche dalla valutazione di vari indicatori sul credito che rimangono a supporto dello sviluppo in un contesto in cui la liquidità è tanta e l’indebitamento non registra parametri così elevati come prima di altre fasi recessive. Al di là o meno dell’effettivo passaggio in una fase di potenziale recessione tecnica, le valutazioni sugli asset dovranno essere riviste, probabilmente al ribasso, in relazione alle stime sugli utili attesi che verranno ritarate dopo questi primi sei mesi molto impegnativi e volatili. Le pressioni in vendita che hanno colpito il mercato nel primo semestre, infatti, vanno imputate quasi interamente alla variazione delle politiche monetarie ed ai rialzi dei tassi di interesse. La guerra Russo-Ucraina ha naturalmente esacerbato la situazione mentre le stime sulla crescita economica e sugli utili non hanno prodotto alcun impatto misurabile ed entrano in gioco proprio ora candidandosi ad essere presumibilmente il tema più discusso nei mesi a venire.
In termini prospettici sull’azionario restano i dubbi che i recenti recuperi siano sufficienti ad indicare un netto ed immediato cambio di rotta da parte dei mercati, sebbene la stabilizzazione vista valorizzi i livelli minimi raggiunti nel primo semestre come soglie di tenuta davvero significative. La liquidità da reinvestire è tanta ma anche l’incertezza economica e geopolitica. In tal senso, dopo aver sfruttato i recuperi del mese di luglio, reintroduciamo un atteggiamento prudente a livello di allocazione privilegiando temi a beta più contenuto e dunque più difensivi in caso di aumento della volatilità. Gli Stati Uniti dovrebbero riprendersi il ruolo di mercato più stabile e difensivo dopo che l’Europa, un po’ a sorpresa, ha sovraperformato proprio dallo scoppio della guerra in Ucraina, reagendo meglio di quanto temuto grazie a una politica fiscale quasi altrettanto espansiva ed a una politica monetaria addirittura più accomodante di quella statunitense. Rimane una view più positiva sul Giappone, basata sulle valutazioni relative e sulla maggiore capacità di reazione alle pressioni inflazionistiche ridotte sull’area. Sugli emergenti invece, la visibilità rimane ridotta a causa della forte divergenza fra singoli paesi persino all’interno delle stesse aree geografiche. In questo momento, i paesi esportatori di materie prime potrebbero offrire opportunità di valore sebbene la forza del Dollaro statunitense continui a ridurre l’appetibilità complessiva del mercato. Se si guarda puramente ai dati puntuali degli spread i livelli di ampiamento raggiunti evidenziano come il mondo del credito possa sembrare ormai prossimo a scontare una recessione, ma la dinamica di ristabilizzazione registrata nelle ultime 6 settimane sta rimischiando le carte in tavola. Le obbligazioni corporate e governative Investment Grade iniziano ad offrire livelli di rendimento relativamente più interessanti e competitivi rispetto al passato e, dopo la sfuriata ribassista del primo semestre, un potenziale di moderata rivalutazione in termini di capitale oltre ad aspetti di diversificazione protettiva in caso di effettiva recessione dell’economia. Anche sul fronte High-yield la qualità creditizia va migliorando e, dato gli attuali premi al rischio, questo segmento potrebbe rappresentare un’opportunità relativamente interessante seppur ancora associata a livelli di volatilità importanti. Sul lato valutario il Dollaro si pone su livelli di sopravvalutazione storica ed anche in termini di timing sottolineiamo qualche dubbio circa la sostenibilità della forza soprattutto nei confronti dell’Euro per il quale il passaggio a una posizione più aggressiva da parte della BCE potrebbe attirare di nuovo flussi di capitale a sostegno della valuta. Il franco svizzero rimane ancora molto sopravvalutato su livelli non facilmente sostenibili dal mercato interno in termini di competitività mentre lo yen dovrebbe proseguire nel suo percorso di sottovalutazione soprattutto con la Bank of Japan che non sembra disposta a modificare la sua politica.
Unbiased Monthly Report Agosto 2022
Ago 10LA ROTTURA DEGLI SCHEMI DI VALUTAZIONE
La cronistoria degli eventi che hanno influenzato i mercati nei primi mesi di quest’anno è certamente variegata e complessa ma in generale ritroviamo un elemento comune nella dinamica negativa che si è riflessa sul sentiment degli investitori. Dapprima dunque un tasso di inflazione in crescita, un conflitto inatteso e tensioni sulle materie prime ed in seguito un secondo trimestre di fatto caratterizzato dal brusco inasprimento dei toni da parte delle banche centrali, ci ha condotti all’inizio dell’estate con risultati molto negativi e preoccupanti per il futuro. L’inizio del nuovo semestre rompe gli schemi di valutazione registrati finora e, per certi versi, offre una visione speculare dei risultati, almeno temporaneamente. A livello pratico infatti risalgono proprio tutti quei temi che maggiormente avevano sofferto.
Si parte dalle obbligazioni che, dopo una delle peggiori discese nella loro storia, capitalizzano i livelli di tasso più alti raggiunti e approfittano degli eccessi presenti sul mercato, complici le attese di rallentamento economico, evidenziando significativi recuperi. La marcata inversione della curva del Treasury americano è l’esempio più lampante, con risultati finali premianti per il T-note oltre il +3%. Significative anche le salite in area Euro con la Germania top performer (Bund +5%). Molto bene anche tutte le componenti a spread con risultati oltre +4%.
Anche le azioni, in particolare quelle americane (+9% S&P500 e +12% Nasdaq), sembrano aver puntualmente misurato un’esagerazione della pressione ribassista e, complice le rassicurazioni sulle mosse della Fed nel combattere l’inflazione, invertono la rotta attirando nuovi acquisti soprattutto sui temi precedentemente più penalizzati come la Tecnologia (+13%) ed i Consumi ciclici (+15%), i migliori insieme agli industriali (+9%).
Positiva anche l’Europa, in particolare il mercato francese (8.9%) mentre non brillano particolarmente gli emergenti con forti divergenze tra singoli paesi. Brasile , Korea ed India si confermano molto positivi mentre la Cina(-7%) con la gemella HongKong (-7.8%) continuano a essere correlate negativamente rispetto alla dinamica dei mercati sviluppati.
Dal lato opposto troviamo le materie prime che, dopo il balzo di inizio anno e le dinamiche volatili successive, sono tornate negli ultimi due mesi su livelli decisamente più contenuti sebbene ancora sostenuti e coerenti con uno scenario di tensioni di carattere energetico e geopolitico. La preoccupazione per i rischi di recessione alle porte, oltre al fallito tentativo di stabilire nuovi livelli massimi storici ha certamente pesato e convinto gli speculatori a prendere un po’ di beneficio. Il petrolio, in particolare cede il -6%, mentre il Gas Naturale riprende la dinamica molto rialzista. Resta inerme l’Oro sostituito nel suo ruolo difensivo in questa fase dal Dollaro statunitense. Il peggioramento della propensione al rischio degli operatori e lo spostamento dei differenziali dei tassi di interesse a favore degli Usa sono i principali fattori ad aver reso il dollaro più forte, molto più forte.
Il grande dibattito resta incentrato su inflazione e rallentamento del ciclo economico che sembrano andare di pari passo. La probabilità infatti di una recessione è presente e difficilmente verrà trascurata nei mesi entranti ma resta molto collegata alla pressione vigente sui prezzi, nel senso che aumenta al crescere dell’inflazione, mentre si ritiene difficile che il rallentamento economico venga causato da una eccessiva stretta nei consumi o da problemi sistemici legati ai settori, in particolare finanziario ed industriale, i cui bilanci sembrano oggi in grado di assorbire condizioni meno favorevoli. È comunque estremamente riduttiva la visione secondo cui l’unico modo in cui l’inflazione possa scendere sia a causa di un rialzo dei tassi, con il conseguente scenario recessivo. C’è in realtà in gioco una Domanda che potrebbe rivelarsi in riduzione e soprattutto un’Offerta che può tendenzialmente rientrare verso canoni più normali, senza limiti da strozzature, con effetti finali a tutto vantaggio di una maggiore tenuta della crescita.
Lo scenario di un rallentamento, piuttosto che di una vera recessione, resta favorito ad oggi anche dalla valutazione di vari indicatori sul credito che rimangono a supporto dello sviluppo in un contesto in cui la liquidità è tanta e l’indebitamento non registra parametri così elevati come prima di altre fasi recessive. Al di là o meno dell’effettivo passaggio in una fase di potenziale recessione tecnica, le valutazioni sugli asset dovranno essere riviste, probabilmente al ribasso, in relazione alle stime sugli utili attesi che verranno ritarate dopo questi primi sei mesi molto impegnativi e volatili. Le pressioni in vendita che hanno colpito il mercato nel primo semestre, infatti, vanno imputate quasi interamente alla variazione delle politiche monetarie ed ai rialzi dei tassi di interesse. La guerra Russo-Ucraina ha naturalmente esacerbato la situazione mentre le stime sulla crescita economica e sugli utili non hanno prodotto alcun impatto misurabile ed entrano in gioco proprio ora candidandosi ad essere presumibilmente il tema più discusso nei mesi a venire.
In termini prospettici sull’azionario restano i dubbi che i recenti recuperi siano sufficienti ad indicare un netto ed immediato cambio di rotta da parte dei mercati, sebbene la stabilizzazione vista valorizzi i livelli minimi raggiunti nel primo semestre come soglie di tenuta davvero significative. La liquidità da reinvestire è tanta ma anche l’incertezza economica e geopolitica. In tal senso, dopo aver sfruttato i recuperi del mese di luglio, reintroduciamo un atteggiamento prudente a livello di allocazione privilegiando temi a beta più contenuto e dunque più difensivi in caso di aumento della volatilità. Gli Stati Uniti dovrebbero riprendersi il ruolo di mercato più stabile e difensivo dopo che l’Europa, un po’ a sorpresa, ha sovraperformato proprio dallo scoppio della guerra in Ucraina, reagendo meglio di quanto temuto grazie a una politica fiscale quasi altrettanto espansiva ed a una politica monetaria addirittura più accomodante di quella statunitense. Rimane una view più positiva sul Giappone, basata sulle valutazioni relative e sulla maggiore capacità di reazione alle pressioni inflazionistiche ridotte sull’area. Sugli emergenti invece, la visibilità rimane ridotta a causa della forte divergenza fra singoli paesi persino all’interno delle stesse aree geografiche. In questo momento, i paesi esportatori di materie prime potrebbero offrire opportunità di valore sebbene la forza del Dollaro statunitense continui a ridurre l’appetibilità complessiva del mercato. Se si guarda puramente ai dati puntuali degli spread i livelli di ampiamento raggiunti evidenziano come il mondo del credito possa sembrare ormai prossimo a scontare una recessione, ma la dinamica di ristabilizzazione registrata nelle ultime 6 settimane sta rimischiando le carte in tavola. Le obbligazioni corporate e governative Investment Grade iniziano ad offrire livelli di rendimento relativamente più interessanti e competitivi rispetto al passato e, dopo la sfuriata ribassista del primo semestre, un potenziale di moderata rivalutazione in termini di capitale oltre ad aspetti di diversificazione protettiva in caso di effettiva recessione dell’economia. Anche sul fronte High-yield la qualità creditizia va migliorando e, dato gli attuali premi al rischio, questo segmento potrebbe rappresentare un’opportunità relativamente interessante seppur ancora associata a livelli di volatilità importanti. Sul lato valutario il Dollaro si pone su livelli di sopravvalutazione storica ed anche in termini di timing sottolineiamo qualche dubbio circa la sostenibilità della forza soprattutto nei confronti dell’Euro per il quale il passaggio a una posizione più aggressiva da parte della BCE potrebbe attirare di nuovo flussi di capitale a sostegno della valuta. Il franco svizzero rimane ancora molto sopravvalutato su livelli non facilmente sostenibili dal mercato interno in termini di competitività mentre lo yen dovrebbe proseguire nel suo percorso di sottovalutazione soprattutto con la Bank of Japan che non sembra disposta a modificare la sua politica.