I mercati dovrebbero ritrovare una maggior serenità in questo secondo semestre avendo a disposizione livelli elevatissimi di liquidità in un momento in cui le quotazioni hanno già scontato buona parte della negatività
L’incertezza sui mercati rimane elevata e tutta l’attenzione si concentra sulle prospettive dell’attuale scenario economico, con il problema di dover gestire delle stime non potendo avvantaggiarsi di un modello di riferimento efficace per decifrare un contesto in cui sono venuti a mancare, quasi contemporaneamente, molti dei paradigmi che avevano guidato le analisi negli ultimi anni. Una chiara difficoltà per gli approcci di valutazione tradizionali mentre resta immutato, sul mercato, il comportamento degli investitori che, seppur motivati e giustificati da cause diverse, gestiscono sempre nello stesso modo incertezza e preoccupazione, generando una corsa ai ripari attraverso reazioni di Risk-off spesso eccessive nelle cui inefficienze si creano opportunità interessanti anche se emotivamente impegnative da cogliere.
La fine della globalizzazione, il potente motore che ha spinto i mercati azionari negli ultimi decenni, è avvenuta in modo molto brusco, accentuata nel suo estremismo dal blocco delle catene di approvvigionamento e dai nuovi equilibri geopolitici seguiti allo scoppio del conflitto russo-ucraino. Il passaggio verso un nuovo paradigma di equilibri internazionali, ancora tutti da definire, sta dunque avvenendo in maniera non certamente graduale e sta generando tensione sul commercio internazionale, l’attività economica e di riflesso sui prezzi, già sotto pressione dall’ondata inflazionistica.
Le conseguenze le misuriamo, in questo primo semestre, su tutti i fronti. Le azioni offrono risultati molto negativi (-18% l’indice globale): sono lo strumento principe su cui normalmente si trasferiscono le incertezze ma, questa volta, non fanno tanto peggio delle obbligazioni che evidenziano perdite che segnano un solco indelebile nella storia della certezza del risultato positivo offerto da questo asset valutato dai più come non rischioso. I bond chiudono dunque uno dei peggiori semestri nella loro lunga storia (-10% a livello globale con punte di -16% su Corporate e -20% su Emergenti HC) e disegnano un futuro in cui i tempi necessari per recuperare tali perdite si prospettano lunghi ed ardui.
A livello di singoli paesi ed ancor di più di settori è prevalsa la selettività con differenziali di performance, in alcuni casi, estremamente marcati che arrivano al 50% di extrarendimento che separa il miglior settore (Energy) dai peggiori (Technology, Telecom e Discretionary). Anomalie già accadute ma sempre in periodi molto brevi e carichi di incertezze e certamente enfatizzate da una situazione di crisi eccezionale. La parte del leone arriva naturalmente dalle materie prime anche se non da tutte e soprattutto non con costanza. Anche in questo caso, seppure con un saldo positivo, la volatilità è rimasta molto alta con bruschi momenti di accelerazione e successive stabilizzazioni come nel caso della dinamica offerta dal petrolio (+48% YTD). Anche gli equilibri valutari, dopo anni di tranquillità, iniziano a rappresentare il palcoscenico su cui scaricare la tragedia delle tensioni internazionali. Il dollaro in questo caso ne sta uscendo vincitore; si è mostrato forte verso tutti, ancor di più nei confronti delle valute emergenti; ha raggiunto i massimi degli ultimi anni sull’Euro ed in generale l’indice della valuta statunitense si è arrampicato su vette che non vedeva da circa venti anni. La valutazione resta elevata, sostenuta dalle aspettative di rialzo dei tassi della Fed e da un livello di rendimento obbligazionario generalmente più alto sul mercato rispetto ad altri paesi competitor. L’Euro, in generale, ne esce indebolito con un impatto inflattivo legato al prezzo dei beni importati, ma sono la Sterlina e, soprattutto, lo Yen a subire le maggiori pressioni negative.
Il contesto è dunque in divenire ed ancora tutto da definire in termini di equilibrio e ci vorrà molto tempo perché si possa trovare una sorta di stabilità e di direzione univoca gradita ai diversi schieramenti. L’impressione è che si stiano ancora misurando le forze in campo anche se appare chiaramente definito l’emergente antagonismo tra le economie occidentali, unite come visto solo dopo la seconda guerra mondiale, e la parte più orientale del pianeta rappresentato in primis da Russia e Cina. Certo è che il percorso intrapreso è tutto inesplorato. Questo è ciò che dovranno affrontare i mercati a livello strategico nei trimestri a venire mentre nel quotidiano continuano a dover gestire il circolo vizioso che ruota attorno ad inflazione e tassi di interesse al rialzo, il dubbio circa l’efficacia delle politiche monetarie restrittive ed il rischio latente nella futura gestione degli sviluppi pandemici ed i conseguenti lockdown. La guerra russo-ucraina, in tutto ciò, sembra essere passata quasi in secondo piano. Il conflitto è arrivato giusto a complicare un quadro generale già difficile aggiungendo un ulteriore elemento di incertezza che rallenta l’attività economica in alcune aree, in particolare in Europa, ma soprattutto contribuisce a tenere alto il prezzo delle materie prime, sia energetiche, come petrolio e gas naturale, che quelle legate ad alcuni beni alimentari. Il risultato finale sappiamo essere la forte accelerazione dell’inflazione ma il vero timore ora è che un aumento troppo aggressivo del costo del denaro porti al peggioramento delle prospettive di crescita delle aziende e dell’economia, alla riduzione dei flussi in acquisto fino al rischio recessivo. Ad ora le banche centrali sembrano essere concentrate esclusivamente sul gestire l’inflazione ignorando i segnali di rallentamento. La Fed si è già ampiamente mossa e non dovrebbero arrivare particolari novità rispetto al piano definito; la BCE ha cambiato atteggiamento ed è diventata più aggressiva mentre la Banca d’Inghilterra va di pari passi a quella statunitense dovendo gestire un aumento dei prezzi da record avvenuto in un contesto, post Brexit, di economia interna in deciso rallentamento. Fa eccezione la parte asiatica dei mercati: la Cina da un lato, alle prese con il ritardo nella gestione pandemica ed una domanda interna deludente, e, dall’altro, la Bank of Japan che ha confermato la determinazione a mantenere i rendimenti obbligazionari attorno allo zero stimando un regime di inflazione temporaneo ovvero un’economia ancora troppo debole per ripartire in modo autosostenuto.
Sono tanti gli elementi che stanno mettendo a dura prova la crescita ma, all’orizzonte sembra che il tema inflazione sia vicino al suo picco e questo potrebbe scongiurare quello che, dal nostro punto di misurazione, risulta essere lo spettro più preoccupante: la stagflazione. Questa combinazione di alta inflazione e stagnazione dell’attività economica con rischio anche di elevata disoccupazione riporta ad immediati parallelismi con ciò che si verificò nella crisi degli anni Settanta. Il contesto finanziario è sicuramente molto simile ma dal punto di vista sociale, occupazionale ed economico le diversità restano ampie e probabilmente il solo fatto di essere preparati a tale scenario lo rende, se non meno probabile, almeno meno sorprendente negli effetti e dunque più gestibile teoricamente. I mercati dovrebbero ritrovare una maggiore serenità in questo secondo semestre avendo a disposizione livelli elevatissimi di liquidità in un momento in cui le quotazioni hanno già scontato buona parte della negatività e le aziende iniziano a presentare multipli interessanti rispetto al recente passato.
Unbiased Monthly Report Luglio 2022
Lug 11IL RISK-OFF GENERA LIQUIDITA’ DA INVESTIRE
L’incertezza sui mercati rimane elevata e tutta l’attenzione si concentra sulle prospettive dell’attuale scenario economico, con il problema di dover gestire delle stime non potendo avvantaggiarsi di un modello di riferimento efficace per decifrare un contesto in cui sono venuti a mancare, quasi contemporaneamente, molti dei paradigmi che avevano guidato le analisi negli ultimi anni. Una chiara difficoltà per gli approcci di valutazione tradizionali mentre resta immutato, sul mercato, il comportamento degli investitori che, seppur motivati e giustificati da cause diverse, gestiscono sempre nello stesso modo incertezza e preoccupazione, generando una corsa ai ripari attraverso reazioni di Risk-off spesso eccessive nelle cui inefficienze si creano opportunità interessanti anche se emotivamente impegnative da cogliere.
La fine della globalizzazione, il potente motore che ha spinto i mercati azionari negli ultimi decenni, è avvenuta in modo molto brusco, accentuata nel suo estremismo dal blocco delle catene di approvvigionamento e dai nuovi equilibri geopolitici seguiti allo scoppio del conflitto russo-ucraino. Il passaggio verso un nuovo paradigma di equilibri internazionali, ancora tutti da definire, sta dunque avvenendo in maniera non certamente graduale e sta generando tensione sul commercio internazionale, l’attività economica e di riflesso sui prezzi, già sotto pressione dall’ondata inflazionistica.
Le conseguenze le misuriamo, in questo primo semestre, su tutti i fronti. Le azioni offrono risultati molto negativi (-18% l’indice globale): sono lo strumento principe su cui normalmente si trasferiscono le incertezze ma, questa volta, non fanno tanto peggio delle obbligazioni che evidenziano perdite che segnano un solco indelebile nella storia della certezza del risultato positivo offerto da questo asset valutato dai più come non rischioso. I bond chiudono dunque uno dei peggiori semestri nella loro lunga storia (-10% a livello globale con punte di -16% su Corporate e -20% su Emergenti HC) e disegnano un futuro in cui i tempi necessari per recuperare tali perdite si prospettano lunghi ed ardui.
A livello di singoli paesi ed ancor di più di settori è prevalsa la selettività con differenziali di performance, in alcuni casi, estremamente marcati che arrivano al 50% di extrarendimento che separa il miglior settore (Energy) dai peggiori (Technology, Telecom e Discretionary). Anomalie già accadute ma sempre in periodi molto brevi e carichi di incertezze e certamente enfatizzate da una situazione di crisi eccezionale. La parte del leone arriva naturalmente dalle materie prime anche se non da tutte e soprattutto non con costanza. Anche in questo caso, seppure con un saldo positivo, la volatilità è rimasta molto alta con bruschi momenti di accelerazione e successive stabilizzazioni come nel caso della dinamica offerta dal petrolio (+48% YTD). Anche gli equilibri valutari, dopo anni di tranquillità, iniziano a rappresentare il palcoscenico su cui scaricare la tragedia delle tensioni internazionali. Il dollaro in questo caso ne sta uscendo vincitore; si è mostrato forte verso tutti, ancor di più nei confronti delle valute emergenti; ha raggiunto i massimi degli ultimi anni sull’Euro ed in generale l’indice della valuta statunitense si è arrampicato su vette che non vedeva da circa venti anni. La valutazione resta elevata, sostenuta dalle aspettative di rialzo dei tassi della Fed e da un livello di rendimento obbligazionario generalmente più alto sul mercato rispetto ad altri paesi competitor. L’Euro, in generale, ne esce indebolito con un impatto inflattivo legato al prezzo dei beni importati, ma sono la Sterlina e, soprattutto, lo Yen a subire le maggiori pressioni negative.
Il contesto è dunque in divenire ed ancora tutto da definire in termini di equilibrio e ci vorrà molto tempo perché si possa trovare una sorta di stabilità e di direzione univoca gradita ai diversi schieramenti. L’impressione è che si stiano ancora misurando le forze in campo anche se appare chiaramente definito l’emergente antagonismo tra le economie occidentali, unite come visto solo dopo la seconda guerra mondiale, e la parte più orientale del pianeta rappresentato in primis da Russia e Cina. Certo è che il percorso intrapreso è tutto inesplorato. Questo è ciò che dovranno affrontare i mercati a livello strategico nei trimestri a venire mentre nel quotidiano continuano a dover gestire il circolo vizioso che ruota attorno ad inflazione e tassi di interesse al rialzo, il dubbio circa l’efficacia delle politiche monetarie restrittive ed il rischio latente nella futura gestione degli sviluppi pandemici ed i conseguenti lockdown. La guerra russo-ucraina, in tutto ciò, sembra essere passata quasi in secondo piano. Il conflitto è arrivato giusto a complicare un quadro generale già difficile aggiungendo un ulteriore elemento di incertezza che rallenta l’attività economica in alcune aree, in particolare in Europa, ma soprattutto contribuisce a tenere alto il prezzo delle materie prime, sia energetiche, come petrolio e gas naturale, che quelle legate ad alcuni beni alimentari. Il risultato finale sappiamo essere la forte accelerazione dell’inflazione ma il vero timore ora è che un aumento troppo aggressivo del costo del denaro porti al peggioramento delle prospettive di crescita delle aziende e dell’economia, alla riduzione dei flussi in acquisto fino al rischio recessivo. Ad ora le banche centrali sembrano essere concentrate esclusivamente sul gestire l’inflazione ignorando i segnali di rallentamento. La Fed si è già ampiamente mossa e non dovrebbero arrivare particolari novità rispetto al piano definito; la BCE ha cambiato atteggiamento ed è diventata più aggressiva mentre la Banca d’Inghilterra va di pari passi a quella statunitense dovendo gestire un aumento dei prezzi da record avvenuto in un contesto, post Brexit, di economia interna in deciso rallentamento. Fa eccezione la parte asiatica dei mercati: la Cina da un lato, alle prese con il ritardo nella gestione pandemica ed una domanda interna deludente, e, dall’altro, la Bank of Japan che ha confermato la determinazione a mantenere i rendimenti obbligazionari attorno allo zero stimando un regime di inflazione temporaneo ovvero un’economia ancora troppo debole per ripartire in modo autosostenuto.
Sono tanti gli elementi che stanno mettendo a dura prova la crescita ma, all’orizzonte sembra che il tema inflazione sia vicino al suo picco e questo potrebbe scongiurare quello che, dal nostro punto di misurazione, risulta essere lo spettro più preoccupante: la stagflazione. Questa combinazione di alta inflazione e stagnazione dell’attività economica con rischio anche di elevata disoccupazione riporta ad immediati parallelismi con ciò che si verificò nella crisi degli anni Settanta. Il contesto finanziario è sicuramente molto simile ma dal punto di vista sociale, occupazionale ed economico le diversità restano ampie e probabilmente il solo fatto di essere preparati a tale scenario lo rende, se non meno probabile, almeno meno sorprendente negli effetti e dunque più gestibile teoricamente. I mercati dovrebbero ritrovare una maggiore serenità in questo secondo semestre avendo a disposizione livelli elevatissimi di liquidità in un momento in cui le quotazioni hanno già scontato buona parte della negatività e le aziende iniziano a presentare multipli interessanti rispetto al recente passato.