Ci attendono movimenti caratterizzati da maggior volatilità ed alternanza di direzione con i mercati americani, soprattutto, che manterranno questa temporanea condizione di maggior incertezza
I mercati si sono presentati in modalità decisamente nervosa all’apertura del nuovo anno facendo preludere ad un 2022 alquanto impegnativo e imprevedibile. Guardando un po’ meglio i numeri tuttavia è facile delineare come, in realtà, l’incertezza si concentri soprattutto sugli Stati Uniti, cioè i mercati più avanzati a livello di ciclo economico, i più veloci a galoppare la ripresa e dunque già alle prese con la gestione dei primi effetti post crescita: quotazioni elevate, utili delle aziende oggi accompagnati da tassi obbligazionari più competitivi, inflazione in crescita e mercato del lavoro non proprio fluido. A tutti questi aspetti si aggiungono le costanti incertezze da pandemia e il rifiorire di tensioni internazionali che stanno avendo ripercussioni immediate anche sotto il punto di vista economico nella difficile gestione del caro energia in questa fase di transizione.
Tanti dunque gli argomenti che possono fare da contorno a dei risultati di performance particolarmente negativi (-5.2% S&P500 e -8.9% Nasdaq) che non si vedevano da tempo soprattutto nei primi mesi dell’anno. Certamente il fatto che tale negatività sia circoscritta, o meglio accompagnata da altri mercati in grado di contenere maggiormente la pressione in vendita, ci permette di leggere i numeri di performance globale di gennaio in modo un po’ meno allarmato. Il sell-off visto è stato dunque molto selettivo ed accompagnato da importanti segnali di riallineamento delle quotazioni proprio a ridosso delle aree di minimo testate. Dal punto di vista geografico le discese di Europa e Giappone sono risultate decisamente più contenute ed addirittura risultano positivi buona parte dei mercati emergenti mentre sul frangente settoriale le divergenze vere sono state tra due settori: Energy, in recupero ciclico dopo la crisi (+15% nel mese) e Technology in flessione dopo anni di extrarendimento (-8% a gennaio). È la quarta situazione così estrema che registriamo negli ultimi due anni ed il mercato ci sta quasi abituando ad assistere a grandi cambiamenti in termini di selettività, con rotazioni tra vincitori e perdenti, sempre più rilevanti e rapide, che erano un ricordo di periodi di alternanza euforia-crisi lontani nel tempo. Se la normalizzazione del ciclo economico andrà nella direzione attesa presumibilmente anche queste divergenze rientreranno su abitudini più normali. In ottica più allargata, studiando i flussi, rileviamo inoltre come il temporaneo smobilizzo sull’azionario non si sia accompagnato con acquisti diffusi su alternative di investimento ritenute tipicamente più “safe”, rigenerando le caratteristiche tipiche di situazioni di risk-off vissute nel passato anche recente. L’oro, ad esempio, è risultato addirittura negativo nel mese (-1.75%) mentre tutto il reddito fisso ha registrato un ulteriore discesa (-1.66% globale). I rendimenti dei Treasury hanno infatti continuato a salire mostrando una certa volatilità all’interno di un clima che sta penalizzando in maniera significativa ormai da mesi gli investitori obbligazionari. Nonostante le economie sviluppate si trovino a stadi di evoluzione differenti continua a mostrarsi una forte correlazione tra i rendimenti governativi offrendo ben poca possibilità di diversificazione. È probabile che la fase attuale stia segnando l’inizio di un ciclo pluriennale molto impegnativo in quanto il punto di partenza dei tassi è così basso che quasi nessun rendimento riuscirà a tamponare le perdite dovute ai rialzi attesi. Distanti da questo clima preoccupato si sono mosse in generale le materie prime con l’indice Crb in crescita di oltre il 9% trainato in particolare dal Petrolio (+17.4%) che certamente gode dei favori del regime inflattivo atteso ma è anche riflesso di aspettative di ciclo economico positive. Questo elemento risulterà importante anche nella valutazione prospettica del posizionamento strategico su buona parte degli asset rischiosi.
A due anni di distanza il coronavirus rimane una delle incognite chiave ma proprio l’evoluzione degli ultimi mesi potrebbe rappresentare una buona proxy di come in futuro i mercati e le economie reagiranno al virus. Piani vaccinali estesi e blocchi regionali mirati evitano l’effetto shock di marzo 2020 e sembrano una soluzione accettabile portando un rallentamento temporaneo della crescita ma senza interruzioni, così da essere facilmente compensabile nei trimestri successivi di ripresa della domanda. In questi anni l’economia globale è stata aiutata e sorretta, in modo artificiale, da un uso massiccio di stimoli, necessari a rianimare un contesto economico da anni fermo in recessione. La ripresa in atto affronta oggi la sfida di uscire in modo ordinato e sostenibile da tali misure di supporto mantenendo una stabilità che è condizione necessaria ad avviare un ciclo virtuoso di autoalimentazione dell’economia e dei mercati. In tal senso c’è grande attesa e fiducia nelle politiche fiscali che in parte sono mancate o hanno fallito l’obiettivo nella precedente crisi finanziaria. C’è un nuovo approccio al debito e sembra lontana l’epoca delle severe misure di austerity; in tal senso il naturale venir meno degli aiuti di emergenza implementati negli ultimi due anni dovrebbe frenare di poco la crescita del PIL, sorretto comunque da una spesa privata più forte se fiduciosa in investimenti pubblici ingenti soprattutto in infrastrutture green, digitali e sociali in grado di stimolare il potenziale di crescita a lungo termine delle diverse economie. Queste sono le attese in termini di normalizzazione, nel frattempo, le banche centrali gestiscono il quotidiano fatto da rendimenti reali bassi insieme a crescita dei prezzi ai massimi livelli da diversi decenni. L’inflazione è stata il tema chiave per i mercati negli ultimi mesi e lo sarà anche nei prossimi in quanto le misurazioni sembrano salire al di sopra degli obiettivi rendendo il fenomeno non più solamente transitorio. Crisi energetica ed interruzioni della catena di approvvigionamento hanno surriscaldato il clima di breve ma il dubbio è se le aspettative di inflazione a lungo termine rimarranno ancorate ai livelli attesi o voleranno al rialzo costringendo le banche centrali a spingere i tassi, nominali e reali, decisamente più in alto limitando di fatto notevolmente le politiche fiscali a causa di costi finanziari sempre più onerosi.
La Fed, come detto, è certamente la prima a dover gestire la tematica; le recenti decisioni sono state sostanzialmente in linea con le aspettative del mercato ma la vera sorpresa è che probabilmente dovrà aumentare il ritmo dell’inasprimento con una scelta che profetizza uno scenario più impegnativo del previsto. Mentre gli Stati Uniti e la maggior parte delle altre banche centrali stanno diventando più aggressive, l’autorità monetaria cinese si muove all’opposto, tagliando i tassi per la prima volta in due anni e generando una divergenza di politica monetaria, impensabile in tempi di globalizzazione, che riflette i seri problemi di domanda interna e di crisi di fiducia in particolare nel settore immobiliare. La crescita lenta della Cina è una cattiva notizia per i mercati, e non solo per quelli emergenti ma, sebbene le azioni globali siano stordite da una Fed più aggressiva e temporaneamente da rendimenti obbligazionari in aumento, sembra continuare il supporto vitale dei buoni utili societari e dell’assenza di alternative di investimento liquido premianti. Lo scenario di fondo permane solido e costruttivo ma i prossimi mesi difficilmente cancelleranno del tutto le fragilità emerse in queste prime settimane. Ci attendono dunque movimenti caratterizzati da maggior volatilità ed alternanza di direzione con i mercati americani, soprattutto, che manterranno questa temporanea condizione di maggiore incertezza. Più stabili le attese invece su area Euro e Giappone mentre sugli Emergenti misuriamo ancora una elevata selettività favorevole più alla parte Latin America che all’Asia.
Unbiased Monthly Report Febbraio 2022
Feb 10IL BUON GIORNO SI VEDE DAL MATTINO?
I mercati si sono presentati in modalità decisamente nervosa all’apertura del nuovo anno facendo preludere ad un 2022 alquanto impegnativo e imprevedibile. Guardando un po’ meglio i numeri tuttavia è facile delineare come, in realtà, l’incertezza si concentri soprattutto sugli Stati Uniti, cioè i mercati più avanzati a livello di ciclo economico, i più veloci a galoppare la ripresa e dunque già alle prese con la gestione dei primi effetti post crescita: quotazioni elevate, utili delle aziende oggi accompagnati da tassi obbligazionari più competitivi, inflazione in crescita e mercato del lavoro non proprio fluido. A tutti questi aspetti si aggiungono le costanti incertezze da pandemia e il rifiorire di tensioni internazionali che stanno avendo ripercussioni immediate anche sotto il punto di vista economico nella difficile gestione del caro energia in questa fase di transizione.
Tanti dunque gli argomenti che possono fare da contorno a dei risultati di performance particolarmente negativi (-5.2% S&P500 e -8.9% Nasdaq) che non si vedevano da tempo soprattutto nei primi mesi dell’anno. Certamente il fatto che tale negatività sia circoscritta, o meglio accompagnata da altri mercati in grado di contenere maggiormente la pressione in vendita, ci permette di leggere i numeri di performance globale di gennaio in modo un po’ meno allarmato. Il sell-off visto è stato dunque molto selettivo ed accompagnato da importanti segnali di riallineamento delle quotazioni proprio a ridosso delle aree di minimo testate. Dal punto di vista geografico le discese di Europa e Giappone sono risultate decisamente più contenute ed addirittura risultano positivi buona parte dei mercati emergenti mentre sul frangente settoriale le divergenze vere sono state tra due settori: Energy, in recupero ciclico dopo la crisi (+15% nel mese) e Technology in flessione dopo anni di extrarendimento (-8% a gennaio). È la quarta situazione così estrema che registriamo negli ultimi due anni ed il mercato ci sta quasi abituando ad assistere a grandi cambiamenti in termini di selettività, con rotazioni tra vincitori e perdenti, sempre più rilevanti e rapide, che erano un ricordo di periodi di alternanza euforia-crisi lontani nel tempo. Se la normalizzazione del ciclo economico andrà nella direzione attesa presumibilmente anche queste divergenze rientreranno su abitudini più normali. In ottica più allargata, studiando i flussi, rileviamo inoltre come il temporaneo smobilizzo sull’azionario non si sia accompagnato con acquisti diffusi su alternative di investimento ritenute tipicamente più “safe”, rigenerando le caratteristiche tipiche di situazioni di risk-off vissute nel passato anche recente. L’oro, ad esempio, è risultato addirittura negativo nel mese (-1.75%) mentre tutto il reddito fisso ha registrato un ulteriore discesa (-1.66% globale). I rendimenti dei Treasury hanno infatti continuato a salire mostrando una certa volatilità all’interno di un clima che sta penalizzando in maniera significativa ormai da mesi gli investitori obbligazionari. Nonostante le economie sviluppate si trovino a stadi di evoluzione differenti continua a mostrarsi una forte correlazione tra i rendimenti governativi offrendo ben poca possibilità di diversificazione. È probabile che la fase attuale stia segnando l’inizio di un ciclo pluriennale molto impegnativo in quanto il punto di partenza dei tassi è così basso che quasi nessun rendimento riuscirà a tamponare le perdite dovute ai rialzi attesi. Distanti da questo clima preoccupato si sono mosse in generale le materie prime con l’indice Crb in crescita di oltre il 9% trainato in particolare dal Petrolio (+17.4%) che certamente gode dei favori del regime inflattivo atteso ma è anche riflesso di aspettative di ciclo economico positive. Questo elemento risulterà importante anche nella valutazione prospettica del posizionamento strategico su buona parte degli asset rischiosi.
A due anni di distanza il coronavirus rimane una delle incognite chiave ma proprio l’evoluzione degli ultimi mesi potrebbe rappresentare una buona proxy di come in futuro i mercati e le economie reagiranno al virus. Piani vaccinali estesi e blocchi regionali mirati evitano l’effetto shock di marzo 2020 e sembrano una soluzione accettabile portando un rallentamento temporaneo della crescita ma senza interruzioni, così da essere facilmente compensabile nei trimestri successivi di ripresa della domanda. In questi anni l’economia globale è stata aiutata e sorretta, in modo artificiale, da un uso massiccio di stimoli, necessari a rianimare un contesto economico da anni fermo in recessione. La ripresa in atto affronta oggi la sfida di uscire in modo ordinato e sostenibile da tali misure di supporto mantenendo una stabilità che è condizione necessaria ad avviare un ciclo virtuoso di autoalimentazione dell’economia e dei mercati. In tal senso c’è grande attesa e fiducia nelle politiche fiscali che in parte sono mancate o hanno fallito l’obiettivo nella precedente crisi finanziaria. C’è un nuovo approccio al debito e sembra lontana l’epoca delle severe misure di austerity; in tal senso il naturale venir meno degli aiuti di emergenza implementati negli ultimi due anni dovrebbe frenare di poco la crescita del PIL, sorretto comunque da una spesa privata più forte se fiduciosa in investimenti pubblici ingenti soprattutto in infrastrutture green, digitali e sociali in grado di stimolare il potenziale di crescita a lungo termine delle diverse economie. Queste sono le attese in termini di normalizzazione, nel frattempo, le banche centrali gestiscono il quotidiano fatto da rendimenti reali bassi insieme a crescita dei prezzi ai massimi livelli da diversi decenni. L’inflazione è stata il tema chiave per i mercati negli ultimi mesi e lo sarà anche nei prossimi in quanto le misurazioni sembrano salire al di sopra degli obiettivi rendendo il fenomeno non più solamente transitorio. Crisi energetica ed interruzioni della catena di approvvigionamento hanno surriscaldato il clima di breve ma il dubbio è se le aspettative di inflazione a lungo termine rimarranno ancorate ai livelli attesi o voleranno al rialzo costringendo le banche centrali a spingere i tassi, nominali e reali, decisamente più in alto limitando di fatto notevolmente le politiche fiscali a causa di costi finanziari sempre più onerosi.
La Fed, come detto, è certamente la prima a dover gestire la tematica; le recenti decisioni sono state sostanzialmente in linea con le aspettative del mercato ma la vera sorpresa è che probabilmente dovrà aumentare il ritmo dell’inasprimento con una scelta che profetizza uno scenario più impegnativo del previsto. Mentre gli Stati Uniti e la maggior parte delle altre banche centrali stanno diventando più aggressive, l’autorità monetaria cinese si muove all’opposto, tagliando i tassi per la prima volta in due anni e generando una divergenza di politica monetaria, impensabile in tempi di globalizzazione, che riflette i seri problemi di domanda interna e di crisi di fiducia in particolare nel settore immobiliare. La crescita lenta della Cina è una cattiva notizia per i mercati, e non solo per quelli emergenti ma, sebbene le azioni globali siano stordite da una Fed più aggressiva e temporaneamente da rendimenti obbligazionari in aumento, sembra continuare il supporto vitale dei buoni utili societari e dell’assenza di alternative di investimento liquido premianti. Lo scenario di fondo permane solido e costruttivo ma i prossimi mesi difficilmente cancelleranno del tutto le fragilità emerse in queste prime settimane. Ci attendono dunque movimenti caratterizzati da maggior volatilità ed alternanza di direzione con i mercati americani, soprattutto, che manterranno questa temporanea condizione di maggiore incertezza. Più stabili le attese invece su area Euro e Giappone mentre sugli Emergenti misuriamo ancora una elevata selettività favorevole più alla parte Latin America che all’Asia.