Capiremo con l’inizio del nuovo anno se le valutazioni ottimistiche degli ultimi mesi siano per certi versi premature e dunque se incertezza e volatilità caratterizzeranno ancora molto i mercati visto il rischio conclamato che le prospettive sugli utili restino negative e che la crescita venga decisamente ridimensionata.
Il cambio di paradigma post Covid, le tensioni internazionali e gli sforzi delle autorità monetarie per tenere sotto controllo l’inflazione hanno creato nell’ultimo anno un ambiente ostico per la maggior parte delle asset class. Il 2022 è stato particolarmente difficile per gli investitori ed anche le attese per il 2023 non sembrano allontanarsi troppo da questa visione. Le condizioni finanziarie resteranno impegnative e la ricerca di nuovi equilibri a livello macroeconomico e geopolitico continuerà ma gran parte dell’aggiustamento necessario per adeguarsi al nuovo contesto economico di carattere inflazionistico potrebbe essersi già verificato attraverso il significativo aumento dei rendimenti obbligazionari, le ampie flessioni dei mercati azionari e le forti oscillazioni valutarie che hanno segnato proprio l’anno appena trascorso. Il saldo del 2022 si conclude con risultati estremamente negativi sul comparto obbligazionario alle prese con una crisi da rialzo tassi che non si vedeva dai cicli inflazionistici degli anni 70 e 80 ma oggi nei portafogli le perdite vengono aggravate dalla tendenza a favore di posizionamenti su spread elevati e scadenze lunghe impostate per la necessità di trovare redditività dopo anni di tassi a zero. L’indice globale segna un pesante -16% e, viste le abitudini di performance e le capacità tipiche e strutturali di movimento, richiederà parecchio tempo per recuperare le perdite così profonde da azzerare, in soli 12 mesi, i guadagni dei 5 anni precedenti. Anche gli azionari hanno sofferto con discese da vera crisi inframezzati tuttavia da tentativi di recupere altrettanto significativi, che portano il risultato a fine anno attorno al -14% a livello mondiale. Contiene le perdite il Giappone (-5.05%) favorito da una politica monetaria sostanzialmente invariata e da un significativo indebolimento della valuta, vero vantaggio per un paese esportatore. Va meglio, in termini relativi, l’Europa (Inghilterra +0.66%, Spagna -5.5%, complessivamente Eurostoxx -11.9%), un pò a sorpresa vista la centralità dell’area nella crisi energetica mentre gli Stati Uniti (-19.6%) faticano insieme ai mercati emergenti (-21.7%). In generale la selettività è stata importante sia a livello geografico che soprattutto settoriale dove la contrapposizione tra gli Energy (+41%), best performer, ed i peggiori (Technology, Discretionary e Telecom) segna spread da record oltre il 70%. Le valute hanno ritrovato di colpo la volatilità persa nel corso degli anni ed è stato certamente il Dollaro, il protagonista assoluto in tal senso. Tolto, infatti l’assestamento di questi ultimi mesi, in generale la moneta statunitense ha registrato un rafforzamento prolungato su tutti i fronti prendendosi di diritto il ruolo di cuscinetto di sicurezza durante la fase più acuta della crisi. Anche sulle materie prime il contesto non è stato semplice da gestire tra pressioni rialziste e speculazioni sul fronte energetico. Il Petrolio ed il Gas hanno segnato record di oscillazioni chiudendo alla fine comunque sui livelli di inizio anno, mentre l’Oro ha sorpreso negativamente proteggendo solo parzialmente durante le varie ondate di negatività ed allineandosi poi al recupero azionario in chiusura di anno. Molti dei cambiamenti nello scenario di mercato stanno assumendo carattere strutturale e accompagneranno le valutazioni di investimento per molto tempo. Inflazione e politica monetaria restano i principali fattori da considerare mentre per ora i risultati economici e gli utili aziendali si presentano come un driver di secondo livello nel definire le attese sui mercati. L’aspetto geopolitico rimane invece un fattore chiave per l’economia globale. Nessuna soluzione sembra vicina per il conflitto tra Russia e Ucraina con il rischio che la crisi energetica non sia finita e continui a pesare su consumi, redditività ed investimenti; inoltre le relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti vanno inasprendosi rendendo la politica internazionale un altro elemento di rischio per il 2023 che si apre all’insegna dell’incertezza anche riguardo al tema Covid.
La gestione della pandemia in Cina è una mina vagante e la mancanza di una trasmissione trasparente di informazioni preoccupa i mercati che temono come il potenziale problema sanitario possa tramutarsi in un conseguente isolamento di parte dell’area asiatica con ricadute pesanti in termini di flussi commerciali. Le indicazioni giunte nell’ultima parte di quest’anno ci aiutano a interpretare come potranno reagire i mercati nei trimestri a venire a fronte di un’inflazione in miglioramento o anche solo inferiore rispetto alle attese che è ciò che piace alle attività più rischiose tuttavia la volatilità dei mercati finanziari, soprattutto nella parte inziale del nuovo anno, rischia di rimanere ancora elevata alimentata dalla persistenza di rischi esogeni e dall’incertezza del ciclo finanziario veri ostacoli alla crescita e, di conseguenza, alla ripresa di valore per gli asset rischiosi. Capiremo con l’inizio del nuovo anno se le valutazioni ottimistiche degli ultimi mesi siano per certi versi premature e dunque se incertezza e volatilità caratterizzeranno ancora molto i mercati visto il rischio conclamato che le prospettive sugli utili restino negative e che la crescita venga decisamente ridimensionata. Gli scenari di calo economico sono dati certi ma il vantaggio che sembra emergere rispetto ad altre recessioni anche recenti è che, in questo caso, la contrazione è ampiamente prevista, quasi scontata. Manca dunque l’effetto sorpresa che in passato ha generato quell’improvviso cambiamento, imprevedibile, che riesce a minare bruscamente la fiducia e genera un significativo declino dell’attività economica, su tutti i fronti, per parecchi mesi. In teoria oggi è tutto più programmato e le banche centrali detengono la chiave di gestione di questo sviluppo. Finora l’atterraggio è stato morbido come diretta conseguenza della risposta politica nella gestione Covid che è riuscita a proteggere il reddito del settore privato generando un’imponente quantità di risparmi in eccesso; un cuscinetto di liquidità che ha finora permesso di resistere all’effetto degli shock da offerta portando la resilienza dell’economia su livelli decisamente migliori rispetto a quelli tipici di altri periodi recessivi. E’ probabile che un sostanziale calo della fiducia a seguito del rallentamento delle attese di crescita possa causare un ulteriore aumento del risparmio precauzionale che grava sulla propensione agli investimenti ma siamo seduti su una grande base di liquidità non investita e le opportunità sui mercati azionari sembrano iniziare ad emergere nonostante un contesto complicato e livelli di volatilità ancora storicamente elevati. Le maggiori incertezze arrivano ancora dalla Cina. Più si allungano i tempi di uscita dalla questione Covid più i danni saranno a lungo termine sulla fiducia degli investitori e minore potrà essere il contributo della ripresa cinese sulla crescita globale già alle prese con il problema di una domanda statunitense ed europea destinata a rimanere debole nei prossimi trimestri. Per quanto riguarda le prospettive sul reddito fisso i rischi nel breve termine persistono. La volatilità rimane alta ed i mercati continuano a tenere conto della probabilità che l’inflazione elevata rimanga a lungo e con essa la politica monetaria restrittiva. I rendimenti obbligazionari hanno comunque raggiunto livelli di remunerazione più competitivi che si riflettono in un maggiore ottimismo per gli investitori soprattutto guardando in prospettiva le scadenze più lunghe della curva sulle quali potrebbero essersi già scaricate le maggiori tensioni. Anche sulle materie prime rimane complessa la situazione e nell’immediato la pressione rialzista permane, in particolare sul lato energetico con scorte basse e crisi geopolitica irrisolta sebbene, a livello ciclico, la dinamica recessiva sull’economia dovrebbe svolgere il suo ruolo storico di freno per ulteriori surriscaldamenti strutturali dei prezzi.
Unbiased Monthly Report Gennaio 2023
Gen 9TEST DI SOSTENIBILITÁ
Il cambio di paradigma post Covid, le tensioni internazionali e gli sforzi delle autorità monetarie per tenere sotto controllo l’inflazione hanno creato nell’ultimo anno un ambiente ostico per la maggior parte delle asset class. Il 2022 è stato particolarmente difficile per gli investitori ed anche le attese per il 2023 non sembrano allontanarsi troppo da questa visione. Le condizioni finanziarie resteranno impegnative e la ricerca di nuovi equilibri a livello macroeconomico e geopolitico continuerà ma gran parte dell’aggiustamento necessario per adeguarsi al nuovo contesto economico di carattere inflazionistico potrebbe essersi già verificato attraverso il significativo aumento dei rendimenti obbligazionari, le ampie flessioni dei mercati azionari e le forti oscillazioni valutarie che hanno segnato proprio l’anno appena trascorso. Il saldo del 2022 si conclude con risultati estremamente negativi sul comparto obbligazionario alle prese con una crisi da rialzo tassi che non si vedeva dai cicli inflazionistici degli anni 70 e 80 ma oggi nei portafogli le perdite vengono aggravate dalla tendenza a favore di posizionamenti su spread elevati e scadenze lunghe impostate per la necessità di trovare redditività dopo anni di tassi a zero. L’indice globale segna un pesante -16% e, viste le abitudini di performance e le capacità tipiche e strutturali di movimento, richiederà parecchio tempo per recuperare le perdite così profonde da azzerare, in soli 12 mesi, i guadagni dei 5 anni precedenti. Anche gli azionari hanno sofferto con discese da vera crisi inframezzati tuttavia da tentativi di recupere altrettanto significativi, che portano il risultato a fine anno attorno al -14% a livello mondiale. Contiene le perdite il Giappone (-5.05%) favorito da una politica monetaria sostanzialmente invariata e da un significativo indebolimento della valuta, vero vantaggio per un paese esportatore. Va meglio, in termini relativi, l’Europa (Inghilterra +0.66%, Spagna -5.5%, complessivamente Eurostoxx -11.9%), un pò a sorpresa vista la centralità dell’area nella crisi energetica mentre gli Stati Uniti (-19.6%) faticano insieme ai mercati emergenti (-21.7%). In generale la selettività è stata importante sia a livello geografico che soprattutto settoriale dove la contrapposizione tra gli Energy (+41%), best performer, ed i peggiori (Technology, Discretionary e Telecom) segna spread da record oltre il 70%. Le valute hanno ritrovato di colpo la volatilità persa nel corso degli anni ed è stato certamente il Dollaro, il protagonista assoluto in tal senso. Tolto, infatti l’assestamento di questi ultimi mesi, in generale la moneta statunitense ha registrato un rafforzamento prolungato su tutti i fronti prendendosi di diritto il ruolo di cuscinetto di sicurezza durante la fase più acuta della crisi. Anche sulle materie prime il contesto non è stato semplice da gestire tra pressioni rialziste e speculazioni sul fronte energetico. Il Petrolio ed il Gas hanno segnato record di oscillazioni chiudendo alla fine comunque sui livelli di inizio anno, mentre l’Oro ha sorpreso negativamente proteggendo solo parzialmente durante le varie ondate di negatività ed allineandosi poi al recupero azionario in chiusura di anno. Molti dei cambiamenti nello scenario di mercato stanno assumendo carattere strutturale e accompagneranno le valutazioni di investimento per molto tempo. Inflazione e politica monetaria restano i principali fattori da considerare mentre per ora i risultati economici e gli utili aziendali si presentano come un driver di secondo livello nel definire le attese sui mercati. L’aspetto geopolitico rimane invece un fattore chiave per l’economia globale. Nessuna soluzione sembra vicina per il conflitto tra Russia e Ucraina con il rischio che la crisi energetica non sia finita e continui a pesare su consumi, redditività ed investimenti; inoltre le relazioni commerciali tra Cina e Stati Uniti vanno inasprendosi rendendo la politica internazionale un altro elemento di rischio per il 2023 che si apre all’insegna dell’incertezza anche riguardo al tema Covid.
La gestione della pandemia in Cina è una mina vagante e la mancanza di una trasmissione trasparente di informazioni preoccupa i mercati che temono come il potenziale problema sanitario possa tramutarsi in un conseguente isolamento di parte dell’area asiatica con ricadute pesanti in termini di flussi commerciali. Le indicazioni giunte nell’ultima parte di quest’anno ci aiutano a interpretare come potranno reagire i mercati nei trimestri a venire a fronte di un’inflazione in miglioramento o anche solo inferiore rispetto alle attese che è ciò che piace alle attività più rischiose tuttavia la volatilità dei mercati finanziari, soprattutto nella parte inziale del nuovo anno, rischia di rimanere ancora elevata alimentata dalla persistenza di rischi esogeni e dall’incertezza del ciclo finanziario veri ostacoli alla crescita e, di conseguenza, alla ripresa di valore per gli asset rischiosi. Capiremo con l’inizio del nuovo anno se le valutazioni ottimistiche degli ultimi mesi siano per certi versi premature e dunque se incertezza e volatilità caratterizzeranno ancora molto i mercati visto il rischio conclamato che le prospettive sugli utili restino negative e che la crescita venga decisamente ridimensionata. Gli scenari di calo economico sono dati certi ma il vantaggio che sembra emergere rispetto ad altre recessioni anche recenti è che, in questo caso, la contrazione è ampiamente prevista, quasi scontata. Manca dunque l’effetto sorpresa che in passato ha generato quell’improvviso cambiamento, imprevedibile, che riesce a minare bruscamente la fiducia e genera un significativo declino dell’attività economica, su tutti i fronti, per parecchi mesi. In teoria oggi è tutto più programmato e le banche centrali detengono la chiave di gestione di questo sviluppo. Finora l’atterraggio è stato morbido come diretta conseguenza della risposta politica nella gestione Covid che è riuscita a proteggere il reddito del settore privato generando un’imponente quantità di risparmi in eccesso; un cuscinetto di liquidità che ha finora permesso di resistere all’effetto degli shock da offerta portando la resilienza dell’economia su livelli decisamente migliori rispetto a quelli tipici di altri periodi recessivi. E’ probabile che un sostanziale calo della fiducia a seguito del rallentamento delle attese di crescita possa causare un ulteriore aumento del risparmio precauzionale che grava sulla propensione agli investimenti ma siamo seduti su una grande base di liquidità non investita e le opportunità sui mercati azionari sembrano iniziare ad emergere nonostante un contesto complicato e livelli di volatilità ancora storicamente elevati. Le maggiori incertezze arrivano ancora dalla Cina. Più si allungano i tempi di uscita dalla questione Covid più i danni saranno a lungo termine sulla fiducia degli investitori e minore potrà essere il contributo della ripresa cinese sulla crescita globale già alle prese con il problema di una domanda statunitense ed europea destinata a rimanere debole nei prossimi trimestri. Per quanto riguarda le prospettive sul reddito fisso i rischi nel breve termine persistono. La volatilità rimane alta ed i mercati continuano a tenere conto della probabilità che l’inflazione elevata rimanga a lungo e con essa la politica monetaria restrittiva. I rendimenti obbligazionari hanno comunque raggiunto livelli di remunerazione più competitivi che si riflettono in un maggiore ottimismo per gli investitori soprattutto guardando in prospettiva le scadenze più lunghe della curva sulle quali potrebbero essersi già scaricate le maggiori tensioni. Anche sulle materie prime rimane complessa la situazione e nell’immediato la pressione rialzista permane, in particolare sul lato energetico con scorte basse e crisi geopolitica irrisolta sebbene, a livello ciclico, la dinamica recessiva sull’economia dovrebbe svolgere il suo ruolo storico di freno per ulteriori surriscaldamenti strutturali dei prezzi.