I mercati premiano molto di più’ le aspettative, anche solo quelle percepite, ed i risultati negativi che ci stanno accompagnando da inizio anno riflettono la naturale tendenza ad amplificare il sentiment vigente e quanto è accaduto più’ di recente.
Anche il mese di maggio si è rivelato un periodo ricco di incertezza per gli investitori. I timori circa la crescita economica, i dati ancora negativi sull’inflazione e la prosecuzione del conflitto in Ucraina hanno infatti aumentato la pressione negativa sugli asset rischiosi che tuttavia hanno mostrato ancora una buona capacità di tenuta con una reazione di riallineamento significativa in grado di riportare le performance del mese attorno alla parità.
Le azioni statunitensi, in particolare, hanno faticato maggiormente continuando ad essere scambiate al ribasso con una pressione dell’offerta fino a recuperare velocemente proprio nell’ultima settimana (S&P500 +0.01%).
Anche le azioni europee hanno avuto una dinamica contrastata dopo una serie di diverse settimane volatili mostrando tuttavia, insieme al mercato giapponese (Topix +0.69%), una maggiore resistenza alle vendite rispetto alle borse Usa. Germania e Spagna in particolare registrano indicazioni rialziste superiori al 2%, mentre Francia e Svizzera subiscono maggiormente i flussi in vendita. In parità, nel loro complesso, i mercati emergenti, sebbene con ancora ritmi diversi fra le diverse aree geografiche. Fanno bene in particolare Brasile e Turchia. Anche sotto il punto di vista settoriale sono rimasti forti gli squilibri. Alla corsa inarrestabile del settore Energy (+12% nel mese) si contrappongono infatti le incertezze legate ai Consumi sia ciclici che non (oltre -3% in entrambi i casi) con il comparto Technology ancora molto volatile.
Ancora incerti gli asset obbligazionari. Se da un lato gli Stati Uniti provano a recuperare con il tasso decennale che torna sotto il 3%, restano deboli Bund e Btp. Migliorano invece i risultati per i governativi emergenti e soprattutto per Corporate e High Yield. Sul lato valutario recupera tono l’Euro, complice un Dollaro generalmente debole, mentre sulle materie prime si conferma la pressione rialzista sui prezzi (+2.68% Crb) con il petrolio in forte salita (+12.4%). Rimane invece poco attraente l’Oro (-3.14%) che, nonostante una situazione di altissima incertezza, non viene richiesto come alternativa di risk off.
Complessivamente, finora, c’è stato poco spazio in cui nascondersi dalla disfatta dei mercati. Persino i più tipici beni rifugio hanno deluso ampiamente le aspettative ed è questa mancanza di diversificazione ciò che rende gli scenari così problematici per gli investitori. In un contesto mondiale in cui le barriere di scambio e di dialogo sono decisamente aumentate diventa antistorico ragionare e parlare di un unico mercato. Ciascuna area sta infatti vivendo un proprio ciclo economico ed affrontando un suo specifico problema. Da un lato troviamo gli Stati Uniti, forti di una crescita record post Covid ed ora alle prese con la gestione di un’inflazione così in crescita da portare al ribaltamento in poco tempo delle certezze di politica monetaria vissute per un intero decennio; dall’altro mettiamo un’Europa in ritardo ed ancora frammentata dal punto di vista della crescita che si trova a gestire lo shock di un conflitto bellico alle porte, con la definizione di nuovi equilibri geopolitici tutt’altro che facili perché intrisi di problematiche di sussistenza energetica ed alimentare di ampia portata. Spostandoci verso oriente invece, il quadro di riferimento appare ancora più fosco con la locomotiva cinese decisamente ferma. I blocchi a tolleranza zero sul lato pandemia stanno ulteriormente indebolendo un’economia domestica in deficit di domanda interna a cui si aggiunge una crisi immobiliare diffusa, vero freno per l’attività economica del paese.
In mezzo a tutta questa incertezza ed oscurità il settore corporate riesce ad uscirne ancora forte e sostenuto. Le aziende infatti stanno dimostrando il potere di determinare i prezzi e stanno presentando solidi ricavi con vendite ed utili sorprendentemente al rialzo, ben oltre le stime previste. La normalizzazione post covid sta dunque ancora portando i suoi effetti in termini di occupazione e di risultati e questo nonostante alcuni mercati chiave, come quello cinese, non stiano certo partecipando a pieno regime alla fase di riapertura.
Ma, come sappiamo, i mercati premiano molto di più le aspettative, anche solo quelle percepite, ed i risultati negativi che ci stanno accompagnando da inizio anno riflettono la naturale tendenza ad amplificare il sentiment vigente e quanto è accaduto più di recente. In un mercato dunque in discesa la paura prende facilmente il sopravvento sui dati e la razionalità.
È immediato intuire come l’impegno degli operatori finanziari sia ormai tutto focalizzato nel comprendere e stimare se il rallentamento in atto, sulle diverse zone, possa trasformarsi in una vera e propria recessione di portata globale.
Rispetto a crisi precedenti, anche recenti, il contesto per ora è guidato da solidi bilanci per consumatori ed imprese, leva finanziaria in controllo e dunque tutto il settore privato nei mercati sviluppati perdura generalmente in buone condizioni; il che significa che i principali fattori di rischio oggi sono incentrati sull’inflazione e sul rischio che le banche centrali diventino eccessivamente aggressive colpendo la fiducia dei consumatori, riducendo ulteriormente il potere d’acquisto e minacciando di spingere oltre il baratro le diverse economie.
Il surriscaldamento dei prezzi ha costretto la Fed ad avviare un’aggressiva campagna di inasprimento della politica monetaria. Certamente gli Stati Uniti restano l’epicentro di questo cambiamento di paradigma, a cui non partecipano Cina e Giappone, ma che sta indirizzando buona parte delle politiche dei paesi occidentali. Anche la BCE appare, almeno nelle dichiarazioni degli ultimi mesi, più aggressiva sebbene, con la crescita europea in difficoltà a causa della crisi energetica e della forte riduzione nella domanda cinese, è improbabile che i tassi dell’Eurozona riescano a tenere il ritmo di quelli statunitensi. In ogni caso, nonostante le divergenze fra le diverse aree, dopo aver sostenuto per lungo tempo e molto l’economia ed i mercati, è arrivato un cambio di regime da parte delle autorità monetarie di fronte al quale i mercati faticano ad adattarsi. L’abitudine dunque ad essere sostenuti quasi artificiosamente dall’azione delle banche centrali ha fatto perdere l’attitudine ed il coraggio di legare le valutazioni e le attese ai reali dati del ciclo economico.
Ci attendono ancora settimane non semplici sui mercati. I temi dominanti confermano un’incertezza latente ma le valutazioni sono diventate potenzialmente più attraenti e basterà una piccola scintilla a far rientrare questo contesto di avversione al rischio e far ripartire i flussi di investimento che potrebbero mostrarsi più importanti di quanto ora misurato in virtù della tanta liquidità infruttifera temporaneamente congelata in cerca di alternative di rendimento interessanti.
Unbiased Monthly Report Giugno 2022
Giu 10INCERTEZZA LATENTE E VALUTAZIONI ATTRAENTI
Anche il mese di maggio si è rivelato un periodo ricco di incertezza per gli investitori. I timori circa la crescita economica, i dati ancora negativi sull’inflazione e la prosecuzione del conflitto in Ucraina hanno infatti aumentato la pressione negativa sugli asset rischiosi che tuttavia hanno mostrato ancora una buona capacità di tenuta con una reazione di riallineamento significativa in grado di riportare le performance del mese attorno alla parità.
Le azioni statunitensi, in particolare, hanno faticato maggiormente continuando ad essere scambiate al ribasso con una pressione dell’offerta fino a recuperare velocemente proprio nell’ultima settimana (S&P500 +0.01%).
Anche le azioni europee hanno avuto una dinamica contrastata dopo una serie di diverse settimane volatili mostrando tuttavia, insieme al mercato giapponese (Topix +0.69%), una maggiore resistenza alle vendite rispetto alle borse Usa. Germania e Spagna in particolare registrano indicazioni rialziste superiori al 2%, mentre Francia e Svizzera subiscono maggiormente i flussi in vendita. In parità, nel loro complesso, i mercati emergenti, sebbene con ancora ritmi diversi fra le diverse aree geografiche. Fanno bene in particolare Brasile e Turchia. Anche sotto il punto di vista settoriale sono rimasti forti gli squilibri. Alla corsa inarrestabile del settore Energy (+12% nel mese) si contrappongono infatti le incertezze legate ai Consumi sia ciclici che non (oltre -3% in entrambi i casi) con il comparto Technology ancora molto volatile.
Ancora incerti gli asset obbligazionari. Se da un lato gli Stati Uniti provano a recuperare con il tasso decennale che torna sotto il 3%, restano deboli Bund e Btp. Migliorano invece i risultati per i governativi emergenti e soprattutto per Corporate e High Yield. Sul lato valutario recupera tono l’Euro, complice un Dollaro generalmente debole, mentre sulle materie prime si conferma la pressione rialzista sui prezzi (+2.68% Crb) con il petrolio in forte salita (+12.4%). Rimane invece poco attraente l’Oro (-3.14%) che, nonostante una situazione di altissima incertezza, non viene richiesto come alternativa di risk off.
Complessivamente, finora, c’è stato poco spazio in cui nascondersi dalla disfatta dei mercati. Persino i più tipici beni rifugio hanno deluso ampiamente le aspettative ed è questa mancanza di diversificazione ciò che rende gli scenari così problematici per gli investitori. In un contesto mondiale in cui le barriere di scambio e di dialogo sono decisamente aumentate diventa antistorico ragionare e parlare di un unico mercato. Ciascuna area sta infatti vivendo un proprio ciclo economico ed affrontando un suo specifico problema. Da un lato troviamo gli Stati Uniti, forti di una crescita record post Covid ed ora alle prese con la gestione di un’inflazione così in crescita da portare al ribaltamento in poco tempo delle certezze di politica monetaria vissute per un intero decennio; dall’altro mettiamo un’Europa in ritardo ed ancora frammentata dal punto di vista della crescita che si trova a gestire lo shock di un conflitto bellico alle porte, con la definizione di nuovi equilibri geopolitici tutt’altro che facili perché intrisi di problematiche di sussistenza energetica ed alimentare di ampia portata. Spostandoci verso oriente invece, il quadro di riferimento appare ancora più fosco con la locomotiva cinese decisamente ferma. I blocchi a tolleranza zero sul lato pandemia stanno ulteriormente indebolendo un’economia domestica in deficit di domanda interna a cui si aggiunge una crisi immobiliare diffusa, vero freno per l’attività economica del paese.
In mezzo a tutta questa incertezza ed oscurità il settore corporate riesce ad uscirne ancora forte e sostenuto. Le aziende infatti stanno dimostrando il potere di determinare i prezzi e stanno presentando solidi ricavi con vendite ed utili sorprendentemente al rialzo, ben oltre le stime previste. La normalizzazione post covid sta dunque ancora portando i suoi effetti in termini di occupazione e di risultati e questo nonostante alcuni mercati chiave, come quello cinese, non stiano certo partecipando a pieno regime alla fase di riapertura.
Ma, come sappiamo, i mercati premiano molto di più le aspettative, anche solo quelle percepite, ed i risultati negativi che ci stanno accompagnando da inizio anno riflettono la naturale tendenza ad amplificare il sentiment vigente e quanto è accaduto più di recente. In un mercato dunque in discesa la paura prende facilmente il sopravvento sui dati e la razionalità.
È immediato intuire come l’impegno degli operatori finanziari sia ormai tutto focalizzato nel comprendere e stimare se il rallentamento in atto, sulle diverse zone, possa trasformarsi in una vera e propria recessione di portata globale.
Rispetto a crisi precedenti, anche recenti, il contesto per ora è guidato da solidi bilanci per consumatori ed imprese, leva finanziaria in controllo e dunque tutto il settore privato nei mercati sviluppati perdura generalmente in buone condizioni; il che significa che i principali fattori di rischio oggi sono incentrati sull’inflazione e sul rischio che le banche centrali diventino eccessivamente aggressive colpendo la fiducia dei consumatori, riducendo ulteriormente il potere d’acquisto e minacciando di spingere oltre il baratro le diverse economie.
Il surriscaldamento dei prezzi ha costretto la Fed ad avviare un’aggressiva campagna di inasprimento della politica monetaria. Certamente gli Stati Uniti restano l’epicentro di questo cambiamento di paradigma, a cui non partecipano Cina e Giappone, ma che sta indirizzando buona parte delle politiche dei paesi occidentali. Anche la BCE appare, almeno nelle dichiarazioni degli ultimi mesi, più aggressiva sebbene, con la crescita europea in difficoltà a causa della crisi energetica e della forte riduzione nella domanda cinese, è improbabile che i tassi dell’Eurozona riescano a tenere il ritmo di quelli statunitensi. In ogni caso, nonostante le divergenze fra le diverse aree, dopo aver sostenuto per lungo tempo e molto l’economia ed i mercati, è arrivato un cambio di regime da parte delle autorità monetarie di fronte al quale i mercati faticano ad adattarsi. L’abitudine dunque ad essere sostenuti quasi artificiosamente dall’azione delle banche centrali ha fatto perdere l’attitudine ed il coraggio di legare le valutazioni e le attese ai reali dati del ciclo economico.
Ci attendono ancora settimane non semplici sui mercati. I temi dominanti confermano un’incertezza latente ma le valutazioni sono diventate potenzialmente più attraenti e basterà una piccola scintilla a far rientrare questo contesto di avversione al rischio e far ripartire i flussi di investimento che potrebbero mostrarsi più importanti di quanto ora misurato in virtù della tanta liquidità infruttifera temporaneamente congelata in cerca di alternative di rendimento interessanti.