LA DEGLOBALIZZAZIONE INIZIA A MUOVERE I PRIMI PASSI
La propensione al rischio bassa non trova a livello strategico valide alternative di investimento ed il parcheggio in liquidità può avere una valenza solo temporanea dovendo fare i conti con una erosione del valore in termini reali decisamente impattante
L’abbrivio positivo creatosi a livello di congiuntura globale dopo la fase di ripresa vigorosa dell’anno scorso è stato soffocato con l’inizio di quest’anno, dapprima con gli strascichi da una nuova ondata pandemica ed in seguito dalla guerra russo-ucraina che sembrava destinata a risolversi velocemente e che invece si sta protraendo da settimane producendo un terremoto economico di ampia portata. L’intervento russo rappresenta un punto di non ritorno allo status quo iniziale e comporta la cancellazione degli equilibri geopolitici degli ultimi vent’anni. Questo è quello che quantomeno possiamo misurare oggi nell’attesa che vengano ridisegnate le dinamiche commerciali e la mappa delle filiere produttive definendo i contorni di quelli che saranno i futuri rapporti fra i vari sistemi economici a livello globale.
La guerra di potere in atto sta imponendo nuovi e per certi versi inaspettati limiti ai mercati. Le sanzioni contro la Russia non hanno tanto escluso il paese dall’economia globale, ma lo hanno allontanato dalla parte economica occidentale del mondo definendo di fatto una disgregazione che non si era vista nemmeno durante la recente guerra dei dazi. La deglobalizzazione inizia a muovere i primi passi e si amplierà molto probabilmente in futuro attraverso tariffe ed embarghi, limitazione di accesso alle materie prime con l’esplosione di inefficienze a livello di commercio globale e flussi di capitali.
Per ora gli effetti hanno generato una reazione a catena che ha portato i mercati delle materie prime a ricevere un ulteriore impulso al rialzo, ha trascinato l’inflazione a livelli di crescita mai visti dagli anni ’70 e portato alcune Banche Centrali (Fed, BOE e BCE) ad essere molto più aggressive sulla politica monetaria peggiorando, come conseguenza immediata, il sentiment degli investitori dubbiosi su dove andrà il ciclo azionario e sorpresi dalla dolorosa fine della certezza di rendimento positivo delle obbligazioni.
Gli andamenti del mese di aprile evidenziano ed enfatizzano questa incertezza. Le azioni statunitensi sono le più colpite (-8.80% S&P500) trascinate dalla debolezza di tutto il comparto Growth colpito da trimestrali deludenti. Dopo il recupero immediato e quasi sorprendente di marzo siamo quindi tornati al livello minimo di inizio conflitto che si configura come spartiacque importante anche sotto il punto di vista psicologico. Parte della negatività è stata comunque mitigata dalla forza del Dollaro che ha ridotto sensibilmente le perdite almeno per gli investitori esteri. Decisamente più resiliente l’Europa, in particolare Inghilterra e Svizzera, vicine alla parità e favorite da uno stile molto Value. In area Euro le discese sono comunque contenute entro il -2.5% con la Spagna unica in controtendenza (+1.6%). Bene, in termini relativi anche il Giappone (-2.4%) supportato a livello ciclico da una banca centrale più accomodante e uno yen debole, oltre a risultare meno colpito direttamente dal conflitto. Ancora critica invece la situazione sui mercati emergenti (-5.7% nel mese) afflitti dai continui problemi della Cina e dai limiti generali legati al peggioramento della crescita ed all’aumento dei prezzi di energia e generi alimentari. Anche sul frangente obbligazionario non arrivano buone notizie. Il clima di costante pressione rialzista sui tassi ha spinto il decennale Usa vicino al 3%, portando con sé tutti i tassi europei. È stato dunque un altro mese molto negativo per i governativi (-2.9%) ed ancora di più per corporate, high Yield ed emergenti con un bilancio per i bond globali da inizio anno oltre il -8%.
In un contesto già da mesi problematico per gli scenari futuri, l’inflazione è il fenomeno più impattante per la congiuntura ed in tal senso restano le Banche Centrali a dettare il ritmo.
L’obiettivo comune a tutte è quello di salvaguardare il più possibile la tendenza del ciclo economico ma le politiche monetarie si stanno decisamente differenziando su scala globale, con livelli di restrizione inevitabilmente legati all’intensità di crescita del ciclo economico ed alle pressioni inflazionistiche vigenti in ciascuna area. La Fed sta cercando di raffreddare l’economia abbastanza da controllare l’impennata dei prezzi senza tuttavia provocare un calo della spesa e un aumento della disoccupazione fondamentalmente non erodendo il potere di spesa e la fiducia dei consumatori. Ma se dunque il restringimento della politica monetaria è in una fase decisamente più avanzata nei paesi di matrice anglosassone, già in Eurozona la dinamica è più lenta, risultando del tutto assente in Giappone e soprattutto in Cina dove si confermano gli stimoli monetari a sostegno dell’economia dovuti a prospettive di crescita più deboli delle attese con un paese ancora alle prese con la pandemia, un mercato immobiliare in crisi ed una domanda interna sottotono.
Conflitto bellico, crisi energetica e contrazione dell’offerta alimentano dunque questo clima incerto e le autorità monetarie devono prendere decisioni piuttosto difficili correndo il rischio di compromettere seriamente lo sviluppo ed alimentando la possibilità che l’economia entri in una condizione di stagflazione facendo intravedere, per alcuni economisti, un crescente pericolo di recessione. Questo ambiente sta certamente indebolendo l’economia globale; lo shock è profondo ma è ancora difficile quantificarne l’impatto sull’attività economica complessiva. La capacità di reazione infatti varia a seconda della regione. Gli Stati Uniti hanno ancora l’economia più forte grazie alla flessibilità del mercato del lavoro, agli elevati risparmi e ad una esposizione diretta, finora, relativamente contenuta alle ricadute del conflitto in Ucraina. Le prospettive invece per l’Europa sembrano molto più impegnative. La vicinanza territoriale ed economica al conflitto e la maggior dipendenza energetica dalla Russia sono i temi chiave delle analisi e dentro l’Area Euro, Germania ed Italia risultano i paesi che rischiano il peggioramento più marcato attraverso un maggior danno derivato da riduzione dell’export e dipendenza da materie prime, soprattutto dal punto di vista energetico. Le notizie sui mercati restano dunque dominate dall’escalation del conflitto e dal contestuale forte aumento dell’inflazione e l’incertezza economica dovrebbe tradursi in mercati ancora volatili anche nelle prossime settimane. Il sentiment degli investitori nei confronti delle azioni rimane cauto, in parte giustificato anche dalle prospettive economiche e dalla dinamica attesa sugli utili, ma la propensione al rischio bassa non trova a livello strategico alternative valide di investimento ed il parcheggio in liquidità può avere una valenza solo temporanea dovendo fare i conti con una erosione del valore in termini reali decisamente impattante.
Unbiased Monthly Report Maggio 2022
Mag 10LA DEGLOBALIZZAZIONE INIZIA A MUOVERE I PRIMI PASSI
L’abbrivio positivo creatosi a livello di congiuntura globale dopo la fase di ripresa vigorosa dell’anno scorso è stato soffocato con l’inizio di quest’anno, dapprima con gli strascichi da una nuova ondata pandemica ed in seguito dalla guerra russo-ucraina che sembrava destinata a risolversi velocemente e che invece si sta protraendo da settimane producendo un terremoto economico di ampia portata. L’intervento russo rappresenta un punto di non ritorno allo status quo iniziale e comporta la cancellazione degli equilibri geopolitici degli ultimi vent’anni. Questo è quello che quantomeno possiamo misurare oggi nell’attesa che vengano ridisegnate le dinamiche commerciali e la mappa delle filiere produttive definendo i contorni di quelli che saranno i futuri rapporti fra i vari sistemi economici a livello globale.
La guerra di potere in atto sta imponendo nuovi e per certi versi inaspettati limiti ai mercati. Le sanzioni contro la Russia non hanno tanto escluso il paese dall’economia globale, ma lo hanno allontanato dalla parte economica occidentale del mondo definendo di fatto una disgregazione che non si era vista nemmeno durante la recente guerra dei dazi. La deglobalizzazione inizia a muovere i primi passi e si amplierà molto probabilmente in futuro attraverso tariffe ed embarghi, limitazione di accesso alle materie prime con l’esplosione di inefficienze a livello di commercio globale e flussi di capitali.
Per ora gli effetti hanno generato una reazione a catena che ha portato i mercati delle materie prime a ricevere un ulteriore impulso al rialzo, ha trascinato l’inflazione a livelli di crescita mai visti dagli anni ’70 e portato alcune Banche Centrali (Fed, BOE e BCE) ad essere molto più aggressive sulla politica monetaria peggiorando, come conseguenza immediata, il sentiment degli investitori dubbiosi su dove andrà il ciclo azionario e sorpresi dalla dolorosa fine della certezza di rendimento positivo delle obbligazioni.
Gli andamenti del mese di aprile evidenziano ed enfatizzano questa incertezza. Le azioni statunitensi sono le più colpite (-8.80% S&P500) trascinate dalla debolezza di tutto il comparto Growth colpito da trimestrali deludenti. Dopo il recupero immediato e quasi sorprendente di marzo siamo quindi tornati al livello minimo di inizio conflitto che si configura come spartiacque importante anche sotto il punto di vista psicologico. Parte della negatività è stata comunque mitigata dalla forza del Dollaro che ha ridotto sensibilmente le perdite almeno per gli investitori esteri. Decisamente più resiliente l’Europa, in particolare Inghilterra e Svizzera, vicine alla parità e favorite da uno stile molto Value. In area Euro le discese sono comunque contenute entro il -2.5% con la Spagna unica in controtendenza (+1.6%). Bene, in termini relativi anche il Giappone (-2.4%) supportato a livello ciclico da una banca centrale più accomodante e uno yen debole, oltre a risultare meno colpito direttamente dal conflitto. Ancora critica invece la situazione sui mercati emergenti (-5.7% nel mese) afflitti dai continui problemi della Cina e dai limiti generali legati al peggioramento della crescita ed all’aumento dei prezzi di energia e generi alimentari. Anche sul frangente obbligazionario non arrivano buone notizie. Il clima di costante pressione rialzista sui tassi ha spinto il decennale Usa vicino al 3%, portando con sé tutti i tassi europei. È stato dunque un altro mese molto negativo per i governativi (-2.9%) ed ancora di più per corporate, high Yield ed emergenti con un bilancio per i bond globali da inizio anno oltre il -8%.
In un contesto già da mesi problematico per gli scenari futuri, l’inflazione è il fenomeno più impattante per la congiuntura ed in tal senso restano le Banche Centrali a dettare il ritmo.
L’obiettivo comune a tutte è quello di salvaguardare il più possibile la tendenza del ciclo economico ma le politiche monetarie si stanno decisamente differenziando su scala globale, con livelli di restrizione inevitabilmente legati all’intensità di crescita del ciclo economico ed alle pressioni inflazionistiche vigenti in ciascuna area. La Fed sta cercando di raffreddare l’economia abbastanza da controllare l’impennata dei prezzi senza tuttavia provocare un calo della spesa e un aumento della disoccupazione fondamentalmente non erodendo il potere di spesa e la fiducia dei consumatori. Ma se dunque il restringimento della politica monetaria è in una fase decisamente più avanzata nei paesi di matrice anglosassone, già in Eurozona la dinamica è più lenta, risultando del tutto assente in Giappone e soprattutto in Cina dove si confermano gli stimoli monetari a sostegno dell’economia dovuti a prospettive di crescita più deboli delle attese con un paese ancora alle prese con la pandemia, un mercato immobiliare in crisi ed una domanda interna sottotono.
Conflitto bellico, crisi energetica e contrazione dell’offerta alimentano dunque questo clima incerto e le autorità monetarie devono prendere decisioni piuttosto difficili correndo il rischio di compromettere seriamente lo sviluppo ed alimentando la possibilità che l’economia entri in una condizione di stagflazione facendo intravedere, per alcuni economisti, un crescente pericolo di recessione. Questo ambiente sta certamente indebolendo l’economia globale; lo shock è profondo ma è ancora difficile quantificarne l’impatto sull’attività economica complessiva. La capacità di reazione infatti varia a seconda della regione. Gli Stati Uniti hanno ancora l’economia più forte grazie alla flessibilità del mercato del lavoro, agli elevati risparmi e ad una esposizione diretta, finora, relativamente contenuta alle ricadute del conflitto in Ucraina. Le prospettive invece per l’Europa sembrano molto più impegnative. La vicinanza territoriale ed economica al conflitto e la maggior dipendenza energetica dalla Russia sono i temi chiave delle analisi e dentro l’Area Euro, Germania ed Italia risultano i paesi che rischiano il peggioramento più marcato attraverso un maggior danno derivato da riduzione dell’export e dipendenza da materie prime, soprattutto dal punto di vista energetico. Le notizie sui mercati restano dunque dominate dall’escalation del conflitto e dal contestuale forte aumento dell’inflazione e l’incertezza economica dovrebbe tradursi in mercati ancora volatili anche nelle prossime settimane. Il sentiment degli investitori nei confronti delle azioni rimane cauto, in parte giustificato anche dalle prospettive economiche e dalla dinamica attesa sugli utili, ma la propensione al rischio bassa non trova a livello strategico alternative valide di investimento ed il parcheggio in liquidità può avere una valenza solo temporanea dovendo fare i conti con una erosione del valore in termini reali decisamente impattante.