Non abbiamo registrato un miglioramento dei dati macro sottostanti ai mercati e quanto più a lungo l’inflazione rimarrà al di sopra degli obiettivi delle Banche Centrali, tanto maggiore sarà la possibilità che tali livelli restino incorporati nelle future attese in modo strutturale creando un effetto persistenza potenzialmente molto rischioso.
Settembre si è rivelato ancora un mese impegnativo con i mercati incentrati sulla ricerca della direzionalità e sull’interpretazione dei nuovi dati di ciclo economico. L’iniziale salita, stimolata più da fattori tecnici che da numeri economici in miglioramento, si è scontrata bruscamente con la realtà di una banca centrale americana, ben accompagnata dalle altre, che ribadisce con le azioni restrittive quanto la situazione sia complessa e quanto il controllo dell’inflazione si ponga come unico obiettivo a scapito del mercato e del sostegno al ciclo economico. Nulla di nuovo ma la conferma che, ad oggi, non ci saranno sostegni in caso di potenziale e probabile recessione. La negatività ha trovato dunque terreno fertile sia sul fronte obbligazionario che azionario riportando le quotazioni dell’Equity nuovamente a cavallo dei minimi dell’anno ora vero spartiacque per i mesi a venire.
Le azioni globali (MSCI World) sono scese complessivamente del -8.5% a settembre con i mercati emergenti decisamente più deboli (-11.9%). Soprattutto la parte Asiatica preoccupa con l’economia cinese in chiara difficoltà nel gestire la riapertura post Covid, una profonda crisi del mercato immobiliare ed una domanda interna che fatica a recepire gli stimoli monetari e fiscali messi in campo dal governo centrale. L’indebolimento invece sulle altre aree resta più legato all’impatto inflazionistico, ma sta compromettendo le prospettive di medio periodo aprendo il rischio a crisi energetiche ed alimentari in grado di innescare un aumento delle divergenze fino ad un’esplosione sociale in molti paesi.
A livello di indici sviluppati sono gli Stati Uniti in questa fase a guidare il ribasso (-9.3%) con la debolezza in Europa (-5.6%), nel Regno Unito (-5.4%) ed in Giappone (-6.5%) più contenuta ma gravata dal contestuale indebolimento valutario. Tra i settori, solo gli Healthcare (-4%) resistono meglio alle ondate in vendita mentre sono più marcate e generalizzate le perdite sugli altri comparti. La ridotta dispersione delle performance diventa il chiaro e tipico segno del clima di sell-off globale ed indistinto che ha caratterizzato le ultime settimane.
Sul lato bond non sono certo andate meglio le cose. I rendimenti dei Treasury a 10 anni sono aumentati di altri 30 bps oltre i massimi, raggiungendo una salita di ben 230 su base annua. Ancora più tesa la situazione in Europa ed Inghilterra dove i dati roventi sull’inflazione e l’impennata dei costi energetici hanno spinto ulteriormente al rialzo le aspettative di salita tassi. Gli effetti negativi sulla performance degli investitori sono naturalmente pesantissimi, con perdite (-19% YTD a livello globale) viste storicamente in pochissime altre occasioni. Dopo anni di rendimenti nulli ed oggi rendimenti reali ancora negativi, il malumore degli investitori obbligazionari è radicato e la ricerca di alternative sempre più pressante.
Anche il rally delle materie prime si è notevolmente indebolito, primo segno importante che possano crearsi le condizioni per il rientro di una parte di costo ed inflazione. Il Petrolio in primis è sceso ampiamente sotto la soglia dei 90 Dollari (-38% dai massimi di febbraio), l’Oro continua a registrare più flussi in vendita che in acquisto (-2.95%) ed anche i prezzi del gas naturale negli Stati Uniti ed in Europa sono rientrati dai livelli stellari dello scoppio della guerra, pur mostrando ancora un’estrema volatilità e dipendenza da effetti geopolitici.
Nessuna novità sul lato valutario. Nonostante si vedano i primi interventi delle autorità monetarie a sostegno delle valute più deboli, il mercato dà ancora ragione alla forza del Dollaro.
Lo Yen scende ancora arrivando a -26% da inizio anno verso il biglietto verde, ben accompagnato dalla Sterlina (Cable a -18% Ytd) sui minimi storici del lontano 1985 mentre l’euro si è ulteriormente indebolito nei confronti del dollaro a causa dei rischi di recessione ed è sceso al di sotto dei livelli di parità per la prima volta in due decenni.
Non abbiamo registrato dunque un miglioramento dei fondamentali macro sottostanti ai mercati e quanto più a lungo i tassi di inflazione rimarranno al di sopra degli obiettivi delle Banche Centrali, tanto maggiore sarà la possibilità che tali livelli restino incorporati nelle future attese in modo strutturale creando un effetto persistenza potenzialmente molto rischioso. Lo scenario oggi viene descritto da un’economia entrata in un periodo di grande volatilità con prospettive di crescita globale che seppur ridotte rimangono positive. Il rischio più marcato è che il calo significativo del reddito reale ed il contestuale aumento dei costi di produzione porti, a breve, ad evidenti ricadute in termini di domanda e offerta in un contesto in cui l’eccesso di risparmio post Covid, già in parte consumato, potrebbe fornire un minore sostegno ai consumi. Il livello di fiducia dei consumatori sarà dunque un elemento imprescindibile soprattutto ora che la politica fiscale potrà portare un sollievo solo parziale per attutire un calo della spesa privata. Sul fronte geopolitico permangono naturalmente le tensioni ma la sudditanza europea dal ricatto energetico russo sembra iniziare ad essere controbilanciata dagli effetti pesanti delle sanzioni alla Russia aprendo lo spiraglio, visto lo stallo bellico, di un potenziale inizio di negoziati. Mentre permangono dunque una moltitudine di rischi, i mercati azionari stanno già scontando nelle loro quotazioni l’elevato rischio di recessione con molti indici che registrano ribassi ben oltre il -20%. Questa condizione può rappresentare un elemento di timing importante come fattore di supporto sul fronte comportamentale. Il posizionamento degli investitori è infatti a livelli storicamente bassi e proprio il sentiment negativo inizia a viaggiare su soglie di eccesso tipiche di momenti favorevoli ad acquisti in logica contrarian. A livello obbligazionario il 2022 rimarrà negli annali della finanza come l’anno della stretta monetaria più rapida e dolorosa sotto il punto di vista delle performance finanziare, tuttavia le parti più lunghe della curva dei tassi iniziano a muoversi in relazione al contesto economico, lasciando ricadere la maggior spinta inflazionista sulle scadenze più brevi. Se gli effetti immediati sono rappresentati dall’appiattimento degli spread (10-2y Usa negativo a -0.40%), in ottica prospettica, inizia a calare il peso delle aspettative inflazionistiche nel lungo periodo segno che buona parte del movimento strutturale rialzista sui tassi potrebbe essere stato fatto. Inoltre, con il proseguimento della restrizione monetaria, la revisione al ribasso delle stime di crescita sarà innegabile e proprio il rallentamento del ciclo economico dovrebbe, in maniera quasi naturale, stabilizzare anche la dinamica rialzista dei tassi con un allentamento dei risultati negativi sulle obbligazioni pur non assicurando nell’immediato l’annullamento dell’effetto volatilità dovuto comunque ad un contesto di generalizzata tensione. L’incertezza accompagnerà anche le materie prime, nonostante il favore della spinta inflazionistica. I livelli di produzione e le scorte stanno creando rigidità dei prezzi sui mercati fisici, in particolare nei prodotti energetici, ed i dati e le attese che giungono dalle varie economie, in particolare da quella Cinese, restano deboli e più si concretizza il rischio di una recessione più questa farà da freno anche al mercato delle materie prime.
Unbiased Monthly Report Ottobre 2022
Ott 10TEST DEI LIVELLI DI FIDUCIA
Settembre si è rivelato ancora un mese impegnativo con i mercati incentrati sulla ricerca della direzionalità e sull’interpretazione dei nuovi dati di ciclo economico. L’iniziale salita, stimolata più da fattori tecnici che da numeri economici in miglioramento, si è scontrata bruscamente con la realtà di una banca centrale americana, ben accompagnata dalle altre, che ribadisce con le azioni restrittive quanto la situazione sia complessa e quanto il controllo dell’inflazione si ponga come unico obiettivo a scapito del mercato e del sostegno al ciclo economico. Nulla di nuovo ma la conferma che, ad oggi, non ci saranno sostegni in caso di potenziale e probabile recessione. La negatività ha trovato dunque terreno fertile sia sul fronte obbligazionario che azionario riportando le quotazioni dell’Equity nuovamente a cavallo dei minimi dell’anno ora vero spartiacque per i mesi a venire.
Le azioni globali (MSCI World) sono scese complessivamente del -8.5% a settembre con i mercati emergenti decisamente più deboli (-11.9%). Soprattutto la parte Asiatica preoccupa con l’economia cinese in chiara difficoltà nel gestire la riapertura post Covid, una profonda crisi del mercato immobiliare ed una domanda interna che fatica a recepire gli stimoli monetari e fiscali messi in campo dal governo centrale. L’indebolimento invece sulle altre aree resta più legato all’impatto inflazionistico, ma sta compromettendo le prospettive di medio periodo aprendo il rischio a crisi energetiche ed alimentari in grado di innescare un aumento delle divergenze fino ad un’esplosione sociale in molti paesi.
A livello di indici sviluppati sono gli Stati Uniti in questa fase a guidare il ribasso (-9.3%) con la debolezza in Europa (-5.6%), nel Regno Unito (-5.4%) ed in Giappone (-6.5%) più contenuta ma gravata dal contestuale indebolimento valutario. Tra i settori, solo gli Healthcare (-4%) resistono meglio alle ondate in vendita mentre sono più marcate e generalizzate le perdite sugli altri comparti. La ridotta dispersione delle performance diventa il chiaro e tipico segno del clima di sell-off globale ed indistinto che ha caratterizzato le ultime settimane.
Sul lato bond non sono certo andate meglio le cose. I rendimenti dei Treasury a 10 anni sono aumentati di altri 30 bps oltre i massimi, raggiungendo una salita di ben 230 su base annua. Ancora più tesa la situazione in Europa ed Inghilterra dove i dati roventi sull’inflazione e l’impennata dei costi energetici hanno spinto ulteriormente al rialzo le aspettative di salita tassi. Gli effetti negativi sulla performance degli investitori sono naturalmente pesantissimi, con perdite (-19% YTD a livello globale) viste storicamente in pochissime altre occasioni. Dopo anni di rendimenti nulli ed oggi rendimenti reali ancora negativi, il malumore degli investitori obbligazionari è radicato e la ricerca di alternative sempre più pressante.
Anche il rally delle materie prime si è notevolmente indebolito, primo segno importante che possano crearsi le condizioni per il rientro di una parte di costo ed inflazione. Il Petrolio in primis è sceso ampiamente sotto la soglia dei 90 Dollari (-38% dai massimi di febbraio), l’Oro continua a registrare più flussi in vendita che in acquisto (-2.95%) ed anche i prezzi del gas naturale negli Stati Uniti ed in Europa sono rientrati dai livelli stellari dello scoppio della guerra, pur mostrando ancora un’estrema volatilità e dipendenza da effetti geopolitici.
Nessuna novità sul lato valutario. Nonostante si vedano i primi interventi delle autorità monetarie a sostegno delle valute più deboli, il mercato dà ancora ragione alla forza del Dollaro.
Lo Yen scende ancora arrivando a -26% da inizio anno verso il biglietto verde, ben accompagnato dalla Sterlina (Cable a -18% Ytd) sui minimi storici del lontano 1985 mentre l’euro si è ulteriormente indebolito nei confronti del dollaro a causa dei rischi di recessione ed è sceso al di sotto dei livelli di parità per la prima volta in due decenni.
Non abbiamo registrato dunque un miglioramento dei fondamentali macro sottostanti ai mercati e quanto più a lungo i tassi di inflazione rimarranno al di sopra degli obiettivi delle Banche Centrali, tanto maggiore sarà la possibilità che tali livelli restino incorporati nelle future attese in modo strutturale creando un effetto persistenza potenzialmente molto rischioso. Lo scenario oggi viene descritto da un’economia entrata in un periodo di grande volatilità con prospettive di crescita globale che seppur ridotte rimangono positive. Il rischio più marcato è che il calo significativo del reddito reale ed il contestuale aumento dei costi di produzione porti, a breve, ad evidenti ricadute in termini di domanda e offerta in un contesto in cui l’eccesso di risparmio post Covid, già in parte consumato, potrebbe fornire un minore sostegno ai consumi. Il livello di fiducia dei consumatori sarà dunque un elemento imprescindibile soprattutto ora che la politica fiscale potrà portare un sollievo solo parziale per attutire un calo della spesa privata. Sul fronte geopolitico permangono naturalmente le tensioni ma la sudditanza europea dal ricatto energetico russo sembra iniziare ad essere controbilanciata dagli effetti pesanti delle sanzioni alla Russia aprendo lo spiraglio, visto lo stallo bellico, di un potenziale inizio di negoziati. Mentre permangono dunque una moltitudine di rischi, i mercati azionari stanno già scontando nelle loro quotazioni l’elevato rischio di recessione con molti indici che registrano ribassi ben oltre il -20%. Questa condizione può rappresentare un elemento di timing importante come fattore di supporto sul fronte comportamentale. Il posizionamento degli investitori è infatti a livelli storicamente bassi e proprio il sentiment negativo inizia a viaggiare su soglie di eccesso tipiche di momenti favorevoli ad acquisti in logica contrarian. A livello obbligazionario il 2022 rimarrà negli annali della finanza come l’anno della stretta monetaria più rapida e dolorosa sotto il punto di vista delle performance finanziare, tuttavia le parti più lunghe della curva dei tassi iniziano a muoversi in relazione al contesto economico, lasciando ricadere la maggior spinta inflazionista sulle scadenze più brevi. Se gli effetti immediati sono rappresentati dall’appiattimento degli spread (10-2y Usa negativo a -0.40%), in ottica prospettica, inizia a calare il peso delle aspettative inflazionistiche nel lungo periodo segno che buona parte del movimento strutturale rialzista sui tassi potrebbe essere stato fatto. Inoltre, con il proseguimento della restrizione monetaria, la revisione al ribasso delle stime di crescita sarà innegabile e proprio il rallentamento del ciclo economico dovrebbe, in maniera quasi naturale, stabilizzare anche la dinamica rialzista dei tassi con un allentamento dei risultati negativi sulle obbligazioni pur non assicurando nell’immediato l’annullamento dell’effetto volatilità dovuto comunque ad un contesto di generalizzata tensione. L’incertezza accompagnerà anche le materie prime, nonostante il favore della spinta inflazionistica. I livelli di produzione e le scorte stanno creando rigidità dei prezzi sui mercati fisici, in particolare nei prodotti energetici, ed i dati e le attese che giungono dalle varie economie, in particolare da quella Cinese, restano deboli e più si concretizza il rischio di una recessione più questa farà da freno anche al mercato delle materie prime.